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Questo articolo è stato pubblicato il 21 gennaio 2012 alle ore 15:36.

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Il tempo è forse la caratteristica più importante della vita per come la conosciamo, un parametro senza il quale nulla ha più il significato che siamo soliti attribuire alla realtà in cui siamo immersi. Ma che cos'è il tempo e, soprattutto, come riusciamo a percepirlo? Rispondere a una domanda del genere non è di certo semplice ma chi, come Lera Boroditsky, psicologa di Stanford, da anni cerca di farlo, inizia ad avere diversi elementi per tratteggiare almeno i caratteri principali della questione. A Roma per parlare dei suoi risultati al Festival della Scienza, la ricercatrice spiega a Nòva che cosa sappiamo del tempo e come esso viene 'sentito'.

«In che modo la mente umana crei e capisca l'idea di tempo è una delle domande più affascinanti della storia del pensiero e dello studio dell'intelligenza ‐ esordisce ‐. Il concetto di tempo, infatti, contiene in sé un paradosso ineludibile: da una parte, è una dimensione fondamentale, la vera fabbrica dell'esperienza umana. Dall'altra, però, è quanto di più astratto si possa immaginare: non possiamo sentirlo, toccarlo, vederlo o percepirne l'odore, perché non esiste un singolo, specifico senso deputato a questa funzione.

Piuttosto, assembliamo l'idea di tempo mettendo insieme elementi diversi; per esempio, pensare alla durata di un evento attiva neuroni diversi rispetto a quelli che vengono reclutati quando si cerca di attribuire un ordine cronologico a una serie di eventi». La mente umana riesce quindi a elaborare l'esperienza del tempo partendo dall'integrazione di diversi stimoli e, per rendersi il compito più facile, avvicina questo concetto a un altro, altrettanto importante: quello di spazio. Spiega ancora Boroditsky: «Molte culture associano l'idea di tempo a quella di spazio. Per restare alle prove più evidenti, basta pensare a oggetti quali i calendari, gli orologi, le meridiane, o ciò che accade nel linguaggio: in molte lingue l'espressione dei concetti legati al tempo richiama quella dei termini spaziali; parole quali avanti/indietro, breve/lungo e così via definiscono una qualità spaziale, ma vengono utilizzate per indicare anche il tempo. In inglese è praticamente impossibile parlare di tempo senza ricorrere a una di queste espressioni, e comportamenti simili si ritrovano in molte culture e lingue del mondo, sia pure con notevoli differenze».

Ciò accade perché, sottolinea Boroditsky, l'idea di tempo è il risultato di una serie di fenomeni fisici e neurologici sui quali però interviene in maniera molto marcata la cultura in cui si vive. «Il tipo di rappresentazione spaziale che un popolo sceglie per esprimere il tempo ‐ spiega la psicologa ‐ può variare enormemente attraverso le lingue e le culture. Così, gli anglofoni tendono a pensare all'idea di futuro come a qualcosa che sta davanti, e al passato come a qualcosa che sta dietro. Gli Aymara, popolazione andina, hanno un'idea esattamente opposta, e pongono il proprio passato di fronte a sé, e il futuro dietro; i cinesi che parlano il mandarino hanno una concezione più verticale, secondo la quale il passato è sopra. Qualcosa di analogo, del resto, si ritrova nella scrittura: coloro che scrivono da sinistra a destra tendono a collocare il passato a sinistra e il futuro a destra, arabi ed ebrei fanno il contrario».

Infine, oltre al fattore culturale ce n'è poi un altro che contribuisce a rendere l'idea di tempo unica: quello personale. Conclude Boroditsky: «Molte nostre decisioni dipendono dall'idea di tempo: si pensi, per esempio, ai programmi per la pensione, a quelli per la giornata e così via. Per alcuni la base è il passato e l'esperienza che esso porta con sé, in altre il futuro e ciò che potrebbe portare: è quindi evidente che l'elemento personale gioca un ruolo molto importante». La percezione del tempo non alberga dunque in un senso definito, ma discende direttamente dall'essenza stessa dell'essere umano, e cioè da quell'inestricabile mix di fisiologia, cultura e consapevolezza.

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