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Questo articolo è stato pubblicato il 28 gennaio 2012 alle ore 18:35.
Trovare i soldi per sviluppare un'idea imprenditoriale in Italia si può. Perché le risorse ci sono. Ciò che serve, oltre alle buone idee e alle competenze, è saperle trasformare in business di successo. Benché l'Italia non sia ancora tra i campioni del venture capital lo scenario è assai dinamico e ricco di opportunità. È importante però che gli aspiranti imprenditori sviluppino maggiori capacità manageriali, il mondo istituzionale definisca regole più efficaci e procedure più snelle, il mondo accademico si organizzi per fornire formazione anche di tipo manageriale a studenti di ogni facoltà soprattutto quelle tecnico-scientifiche, il mondo industriale conosca da vicino il valore delle innovazioni proposte dalle startup.
Con l'obiettivo di disegnare un quadro il più completo possibile Matteo Panfilo, studente di economia alla Luiss di Roma, lavorando alla sua tesi sull'andamento degli investimenti in venture capital ha intervistato i principali fondi che operano in Italia. La ricerca si è proposta di integrare con nuove informazioni i dati già disponibili, per esempio quelli rilevati da Aifi (Associazione italiana del private equity e del venture capital) ed è stata realizzata con la collaborazione di Startupbusiness (www.startupbusiness.it) il network di riferimento dell'ecosistema dell'innovazione e delle startup italiane, di cui l'autore di questo articolo è amministratore delegato.
L'indagine Startup Numbers ha raccolto informazioni da dieci venture capital attivi in Italia (di cui uno che opera a livello europeo) che rappresentano circa l'85% dei capitali gestiti nel nostro Paese. Queste società di investimento hanno compilato un questionario da cui sono stati estratti i dati; va sottolineato che si tratta esclusivamente dei fondi di venture capital e quindi dall'indagine sono esclusi i fondi di seed capital e i business angel che stanno crescendo rapidamente grazie anche alle organizzazioni che li raccolgono in gruppi. Le informazioni sono state raccolte tra luglio e ottobre 2011.
I fondi che hanno partecipato alla ricerca gestiscono circa 960 milioni di euro di cui 530 milioni destinati all'Italia (di questi una parte è vincolata a investimenti nel Mezzogiorno perché legata al Fondo High-Tech per il Sud) e risultano disponibili ancora 320 milioni di euro da utilizzare nei prossimi due anni e mezzo circa, periodo calcolato sull'età media degli investment period dei fondi. I fondi hanno ricevuto 11mila richieste negli ultimi tre anni e investito fino a oggi in 183 società innovative. Analizzando i motivi che hanno indotto gli investitori a scartare le proposte emergono l'inadeguatezza e scarsa preparazione dei team proponenti sotto il profilo delle capacità manageriali, il basso livello di effettivo impegno degli imprenditori, la mancanza di chiari obiettivi economici e di strategie di crescita.
La ricerca rileva che la scarsa preparazione manageriale è la principale causa di fallimento ed è anche per questo che recentemente alcuni fondi di venture capital si stanno attrezzando per dare vita a specifiche startup school dove formare gli aspiranti imprenditori. I tempi medi che vanno tra l'analisi del business plan e l'effettivo investimento sono pari a circa sei mesi con oscillazioni tra 3 e 10 mesi, mentre i settori preferiti sono internet/Ict, cleantech, biotech e medical device. Va detto che tre dei dieci fondi intervistati sono specializzati mentre il 60% di loro ha tra i fondatori ex imprenditori con forte sensibilità verso le competenze manageriali.
In questo quadro un maggiore coinvolgimento del mondo industriale italiano verso quello delle startup può ulteriormente accelerare il processo di evoluzione dell'intero ecosistema perché in grado di portare non solo risorse finanziarie ma nuove e concrete competenze manageriali (così come fanno anche i business angel) con vantaggi sia per i neo imprenditori, sia per le imprese che accedono più facilmente all'innovazione, sia per gli investitori che possono contare su un maggiore apporto di competenze e più efficaci sbocchi industriali anche in termini di exit attraverso operazioni di fusione e aquisizione. L'ammontare degli investimenti varia da uno a cinque milioni di euro, la media è due milioni, e la quota che mediamente il venture capital controlla nelle società investite è del 30 per cento.
Il 2012 potrebbe quindi diventare l'anno della svolta per il venture capital italiano con l'inizio di una fase di incremento degli investimenti fino a 150-170 milioni di euro all'anno per il prossimo biennio che si può tradurre in sostegno finanziario per 160 nuove startup. A ciò va aggiunto che tre tra i grandi venture capital sono in fase di raccolta fondi che porteranno nuova linfa al settore, così come i 50 milioni di euro che il Fondo italiano di investimento ha in programma di destinare al venture capital appena riceverà l'approvazione dalla Banca d'Italia.
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