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Questo articolo è stato pubblicato il 05 febbraio 2012 alle ore 14:38.

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Quella miniera d'oro dei dati personaliQuella miniera d'oro dei dati personali

Google cambia le regole in materia di privacy e la riservatezza dei dati personali balza improvvisamente in vetta alle priorità dei singoli e della collettività. Le informazioni che riguardano ciascuno di noi sono la linfa del business perché consentono di calibrare la produzione industriale, orientare gli sforzi commerciali, individuare le tendenze al consumo e tener d'occhio gusti e mode. Chiunque voglia metter sul mercato prodotti e servizi considera i dati personali una bussola e guarda con interesse chi ne macina per via telematica enormi quantità procedendo anche a selezioni e aggregazioni.

Le opportunità che internet mette a disposizione si moltiplicano quotidianamente. Chi naviga non esita a 'registrarsi' su siti web e social network fornendo involontarie 'radiografie' del proprio essere o modo di vivere, senza valutare le conseguenze di queste 'confessioni' telematiche e soprattutto senza mai leggere le «condizioni d'uso» e le «regole in tema di privacy» che normalmente sono subito raggiungibili dalla homepage di qualunque realtà online. Anche chi adotta un atteggiamento di sostanziale cautela, si presenta dinanzi ai siti senza particolari difese: accedere gratuitamente a qualunque web comporta il pagamento di un invisibile prezzo costituito dalla consegna - spesso involontaria - di moltissime informazioni personali potenzialmente destinate a successive classificazioni, elaborazioni e incroci.

La semplice connessione comporta «dichiarazioni spontanee» previste dalle procedure tecniche che sono alla base del collegamento che altrimenti non potrebbe stabilirsi. Il webmaster 'dall'altro lato' vede il numero Ip del visitatore, riconosce il provider, definisce un preliminare posizionamento geografico, identifica e interpreta i 'cookie' presenti sul pc, vede quale sistema operativo e quale browser sono usati dall'utente, prende nota della provenienza (da quale sito si è arrivati) e della successiva destinazione (dove si continua a navigare), scheda le ricerche che vengono effettuate e cataloga le pagine visitate, memorizza i 'post' e ogni sorta di messaggio, immagazzina ogni operazione di selezione o gradimento, tiene in evidenza i contatti e ne disegna la rete.

L'insieme delle informazioni va a fare perno su una voce univoca, ovvero un codice identificativo alfanumerico che costituisce il Dna dell'utente. Attorno a questo dato si va ad aggrappare tutto quel che nel tempo è stato, viene e verrà raccolto direttamente o acquisito da terzi. Sovente gli utilizzatori di social network, di portali o altre piattaforme telematiche abbondano nel fornire elementi conoscitivi sul proprio conto. Pensiamo alle note biografiche di chi sceglie Twitter e vuole qualificare i propri tweet, alla dovizia di particolari che costella il profilo degli utilizzatori di LinkedIn, animati dalla speranza di trovar lavoro o di migliorare la propria posizione, alle 'info' degli iscritti a Facebook che evidenziano relazioni e trascorsi ramificando l'insieme di rapporti, conoscenze, ambiti.

Le clausole dell'agreement di volta in volta sottoscritto con un semplice clic del mouse sulla casellina «accetto» aprono la strada a comunicazioni autorizzate, a flussi di dati che confluiscono in giganteschi database non sempre alla luce del sole. L'utente abbraccia la gratuità anche di cose inutili non sapendo di pagare un pesante pedaggio con la cessione dei propri dati.
Nel moderno cosmo a matrice digitale vince non chi ha semplice superiorità di informazione, ma chi ne dispone in regime di supremazia. Scartando ipotesi monarchiche, il modello oligarchico si profila come naturale epilogo degli equilibri dell'information society. Lo sanno bene Zuckerberg e compagni, che hanno saputo trasformare un innocuo passatempo nostalgico in una montagna d'oro degna di essere quotata in Borsa e di superare la fervida immaginazione di Orwell. Tutti gli altri devono impegnarsi per evitare di diventare mera merce, perdendo ogni qualità umana e assumendo il ruolo di «soggetti cui i dati personali si riferiscono», come recita la norma in materia di privacy nel definire i soggetti interessati. Anche se quell'interesse alla tutela delle informazioni che ci riguardano non mantiene a lungo il primato che meriterebbe e viene dimenticato fino all'inconveniente successivo.

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