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Questo articolo è stato pubblicato il 24 febbraio 2012 alle ore 19:15.

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Le domande impossibili di GoogleLe domande impossibili di Google

«Le aziende vogliono di più. Solo che di preciso non sanno nemmeno loro cosa. Per questo, nel dubbio, fino a quando non lo capiscono davvero, fanno ai loro candidati domande impossibili». A dirlo è William Poundstone autore di «Are you smart enought to work at Google», uscito in questi giorni negli Usa.

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Come recita il sottotitolo, il volume raccoglie «Domande a trabocchetto, rompicapo zen, test incredibilmente difficili e altre contorte tecniche di colloquio che è bene conoscere se si vuole avere un lavoro nella new economy». Poundstone ha raccolto molte cose insieme: da un lato un manuale con risposte e trucchi per superare il fuoco di fila dei test (in certi casi si può essere richiamati sino a cinque volte per quello che l'autore definisce "colloquio kafkiano"); dall'altro, un viaggio negli uffici di risorse umane più gettonati e severi del mondo: quello di Google, chiamato "Human operations", riceve più di un milione di candidature all'anno, ma solo uno su 103 si rivela idoneo.

Sullo sfondo emerge il ritratto di un Paese afflitto da un livello di disoccupazione cui non era preparato e al quale reagisce incredibilmente alzando gli standard delle proprie richieste, in cerca dell'impiegato perfetto, capace di rispondere a domande di ogni tipo e di saper operare in condizioni di difficoltà imprevedibili. «In realtà i giovani che si presentano ai colloqui di ammissione sono nella stragrande maggioranza dei casi preparati, brillanti e capaci – spiega Poundstone, che per scrivere il suo libro ha passato settimane gomito a gomito con i selezionatori delle aziende della Silicon Valley –. Le aziende non hanno le idee molto chiare su come selezionarli. Conducono colloqui impossibili affinché i candidati possano dimostrare di saper agire in condizioni di grande difficoltà, imprevisti, reazioni inattese, persino fuori dai canoni comuni della logica. In pratica durante quei colloqui – continua Poundstone – occorre dimostrare cosa si è in grado di fare, benchè, in pratica, non si stia facendo ancora niente».

Le domande poste non sono solo complicate, ma anche spesso avulse rispetto a quello che sarà il campo di attività. Del tipo: «Quante persone stanno usando Facebook, a San Francisco alle 2 del pomeriggio di un venerdì?» (chiesto in un colloquio a Google), oppure, «Cosa pensi dei nani da giardino?» (chiesto da Trader's Joe), o ancora, «Come risolveresti il problema della fame nel mondo?» (chiesto da Amazon) o «Camera, scrivania, macchina: quale riordini per primo?» (chiesto da Pinkberry). «La verità e che ai recruiter non importa sapere cosa e quanto sai. Vogliono capire che tipo di persona sei – chiarisce Poundstone – chi viene assunto in un posto come la Silicon Valley o le grandi società finanziarie dovrà affrontare sfide quotidiane in un ambiente altamente competitivo.

Dovrà essere estremamente duttile e svelto a imparare e a combinare informazioni diverse tra loro». Per valutare la sua capacità di essere all'altezza di questi compiti gli vengono rivolte domande come «Trova il numero successivo nella sequenza di numeri 10, 9, 60, 90, 70, 66…». Vi è venuto il mal di testa? La risposta giusta è 69. Ma potrebbe anche essere 54. I numeri infatti sono posti in un ordine crescente in base al numero di lettere che, in inglese, li compone: 10 ( ten, tre lettere), 9 (nine, quattro lettere) e così via. Per cui quello successivo potrebbe essere un numero qualsiasi purché sia composto da nove lettere. «La persona in grado di rispondere a un quesito del genere – spiega Poundstone – è capace di astrazione, di guardare i numeri e pensare alle lettere, e di pensare alle lettere in termini numerici».

E per rispondere correttamente a una domanda del genere non c'è istruzione o formazione che tenga. «È una specie di paradosso: per superare questi test la formazione serve a poco, eppure senza un tipo di studi che abituino e insegnino a ragionare in un certo modo non c'è speranza di fare parte del magico mondo della Silicon Valley» conclude l'autore. Solo per chi saprà dimostrare di avere questo tipo di plasticità, che non insegna a scuola ma che a scuola si impara, si potranno aprire le porte della leggendaria sala relax di Mountain View, con tanto di parete da freeclimbing. E si sa: il freeclimbing non è materia scolastica.

Saresti il candidato giusto?
Prova a rispondere alle domande dell'ufficio delle risorse umane di Google

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