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Le nanotecnologie saranno gli esploratori di domani, permettendoci di raggiungere confini inesplorati. Nikhil Koratkar, dell'Istituto Politecnico Rensselaer di Troy – nello Stato di New York – intende servirsi di queste tecniche per scoprire siti petroliferi altrimenti inaccessibili. Koratkar è riuscito a produrre una corrente elettrica facendo scorrere dell'acqua su una pellicola di grafene, il materiale formato da un unico strato di atomi di carbonio.

La potenza generata è sufficiente per rendere autonomo dal punto di vista energetico un sensore di dimensioni microscopiche. L'idea è quella di disperdere nell'acqua un nugolo di microsensori energeticamente autosufficienti e iniettare il liquido nelle viscere del sottosuolo. I sensori raccolgono le informazioni chimiche dei fluidi incontrati, rilevando la presenza di petrolio o gas. Un progetto analogo era stato realizzato con nanotubi di carbonio ma, secondo Koratkar, la capacità del grafene di raccogliere energia dal movimento dei fluidi è «almeno di un ordine di grandezza superiore a quella dei nanotubi».

Il progetto del team di Koratkar è un esempio di come le nanotecnologie possano essere impiegate per esplorare il mondo. Una collaborazione tra l'Università di Dallas e quella di Tecnologia della Virginia punta su queste tecnologie per sondare le profondità oceaniche. Il team di Yonas Tadesse ha costruito una medusa meccanica che si muove nutrendosi dei gas ossigeno e idrogeno: un animale artificiale che rilascia acqua come unico rifiuto mentre viaggia. Il movimento di questo robot è frutto di muscoli artificiali composti da una lega di nickel titanio, nanocatalizzatori di platino e un rivestimento di nanotubi di carbonio. L'idrogeno e l'ossigeno presenti nell'acqua marina, a contatto col platino, producono una reazione chimica che provoca la contrazione della lega metallica. Il movimento che si genera spinge un automa di dimensione micrometrica che nell'acqua si sposta come una medusa.

Le nanotecnologie sono di ausilio anche per l'esplorazione del cosmo, come racconta il professore Luigi De Luca del Politecnico di Milano. Dal 2003 De Luca studia l'uso delle nanoparticelle per migliorare l'efficienza dei combustibili utilizzati per la propulsione spaziale. L'idea è quella di sostituire le particelle micrometriche di alluminio usate attualmente con nanoparticelle che consentono «un'elevata velocità di combustione» aumentando quindi la potenza propulsiva dell'energia sviluppata e l'efficienza complessiva del motore. Mentre De Luca lavora da tempo con alcune università russe, in particolare con l'Università politecnica e statale di Tomsk, ancora oggi gli Stati Uniti non esportano il combustibile gelatinoso arricchito con nanopolveri metalliche in quanto ritenuto da loro di interesse strategico. Un risvolto militare che non impedisce di immaginare di espandere in futuro, grazie alle nanotecnologie, gli attuali limiti dell'esplorazione spaziale.

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