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Questo articolo è stato pubblicato il 21 aprile 2012 alle ore 20:08.
Le tante iniziative open data della pubblica amministrazione stanno creando il terreno fertile per aziende che vogliano costruirci un business. Anche in Italia, sebbene con grande ritardo rispetto ai Paesi anglosassoni. E sebbene i dati pubblicati dalla Pa siano pochi.
«Siamo una startup nata tre mesi fa.
Cinque persone che hanno investito finora i soldi» dice Michele Barbera, fondatore di Spaziodati. Fanno due attività, per business: «Arricchiamo i database di soggetti privati tramite i dati open e costruiamo data market, che sono diffusi nel mondo anglosassone ma assenti da noi», aggiunge. I data market aggregano fonti open data e creano collegamenti con tecnologie semantiche. Il risultato ha così più valore della somma delle parti. L'accesso ai data market può essere venduto a sviluppatori, come base per fare applicazioni, per esempio su cellulare. «Abbiamo come clienti una grande azienda e una Pa, sono progetti sperimentali. Stiamo negoziando un'incubazione a Trento e trattando con fondi venture capital», continua Barbera.
Dietro Openpolis c'è un modello misto, profit e non profit: Depp Srl e l'associazione Openpolis, per promuovere la trasparenza e la partecipazione democratica. Raccoglie dati sui lavori del parlamento e le dichiarazioni dei politici (monitoraggio in tempo reale). Si sostiene attraverso le donazioni all'associazione e, con Depp Srl, con l'offerta elaborata dei dati a istituzioni e media. Voglioilruolo (Mitecube) vende abbonamenti (10 euro l'anno) ai docenti precari: organizza le informazioni per trovare una cattedra, raccoglie e analizza 20mila graduatorie pubblicate su una gran varietà di siti. Circa il 70% dei servizi è però gratuito e il sito guadagna anche dalla pubblicità. A dicembre 2011 i ricavi hanno superato di poco le spese, per la prima volta (intorno agli 80mila euro).
La pubblicazione di open data da parte della Pa è solo il primo passo per aziende che poi aggiungano fruibilità e intelligenza a quei dati. «Un'interfaccia che organizzi meglio i dati, per esempio. Ma il futuro potrebbero essere servizi di business intelligence che utilizzino gli open data per guidare le aziende nella partecipazione a bandi», dice Federico Morando, managing director del centro Nexa per il Politecnico di Torino, prima istituzione accademica a promuovere il fenomeno open data. «Ma in Italia siamo agli inizi. Perché ancora i dati pubblicati dalle Pa sono troppo pochi per farci un buon business», continua.
Eppure gli ultimi due mesi sono stati un grande fiorire di siti con open data, sulla scorta di pionieri come la Regione Piemonte, il Comune di Firenze e la Provincia di Trento, che comunque hanno cominciato a fine 2011. Da marzo è online l'open data della Regione Lombardia, con 21 dataset (a regime, 138). Questa settimana il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si è accordato con gli Esteri per mettere in comune le banche dati e aprirle ad aziende, istituzioni, università. Già il Miur ha obbligato le scuole a pubblicare i loro dati. «Ci sono tante iniziative, ma anche i pionieri hanno pubblicato solo una briciola dei dati che possiedono», conferma Ernesto Belisario, avvocato esperto di Pa online e autore di una mappa delle leggi regionali sull'open data (a oggi tante quelle proposte, ma solo la Regione Piemonte ne ha varata una).
Altrove invece sono già affermate le aziende specializzate nell'open data, come l'islandese Datamarket, le americane Factual e Infochimps. Ci crede anche Vodafone : offre alle Pa applicazioni basate su dati open come musei, qualità dell'aria, eventi. «Le potenzialità sono molto interessanti», dice Morando. Ora spetta alle Pa accelerare il percorso. Le idee di impresa sono già pronte.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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