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Questo articolo è stato pubblicato il 28 aprile 2012 alle ore 16:38.
A Greenpeace la "nuvola informatica" non è mai piaciuta più di tanto. Nel marzo 2010 ha pubblicato il rapporto dal titolo eloquente: "Make It Green: Cloud Computing and its contribution to Climate Change". Obiettivo? Fare il punto sui costi ambientali, in termini di impatto sul clima, del Cloud. Risultato? I consumi energetici dei grandi data center, necessari per alimentare il sistema, sarebbero risultati fuori controllo. Superiori del 70% a quanto inizialmente stimato. In particolare, la domanda di energia complessiva del sistema internet/cloud computing (data center e rete di telecomunicazioni) globalmente dell'ordine di 623 miliardi di kWh, sulla base delle proiezioni attuali, sarebbe dovuta aumentare di oltre il triplo entro pochi anni, a 1.973 miliardi di kWh. «Più del consumo elettrico di Francia, Germania, Canada e Brasile messi assieme, e oltre 6 volte il consumo totale dell'Italia nel 2009», rileva Greenpeace.
Nei giorni scorsi l'associazione ambientalista è tornata sul tema con un nuovo rapporto dal titolo ugualmente ficcante: «How clean is your cloud?». Il giudizio complessivo è tutt'altro che positivo. La nuvola per Greenpeace è nera, anzi nerissima. La responsabiltà è di big come Apple, Amazon e Microsoft rei di utilizzare per alimentare i propri datacenter fonti energetiche «sporche e pericolose» come il carbone e l'energia nucleare. Pericolose perché, sostiene Greenpace, minacciano il clima e la salute dell'uomo. Secondo il Clean Energy Index, elaborato da Greenpeace sulla base della domanda elettrica (in megawatt) degli impianti e della percentuale di energia rinnovabile utilizzata dagli stessi, meglio di tutti si posiziona Yahoo! con una percentuale di oltre il 50% proveniente dalle rinnovabili. Dell (56%) e Google (39%) sono entrambe diventate più attive nel sostenere politiche per maggiori investimenti in energie pulite. Basse le percentuali dei datacenter di Apple (15,3%), Microsoft (13,9%), Amazon Web Services (13,5%) e Ibm (12,1%). Interpellate da Greenpeace solo Amazon Web Service e Apple hanno risposto ritenendo tali stime non corrette, ma non hanno fornito dati per calcoli alternativi.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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