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Questo articolo è stato pubblicato il 15 luglio 2012 alle ore 15:03.

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L'ultimo episodio risale all'estate scorsa. Quando è scoppiata un'epidemia di infezione da Escherichia coli in Germania e Francia. Un "assaggio" di come in un breve lasso di tempo un'area vasta come due nazioni possa essere "attaccata", senza alcun preavviso, da un nemico invisibile che si diffonde velocemente e colpisce in maniera random. In questo caso non c'era dolo, ciononostante ci sono state vittime.

Figuriamoci cosa accadrebbe se a monte dell'intossicazione ci fosse una mente e un piano ben preciso. Un attacco di bioterrorismo, insomma. Saremmo pronti a difenderci? In quanto tempo? E con quali armi? Domande che si è posta anche la Commissione europea, quando ha deciso di finanziare con 6 milioni di euro, nell'ambito del Programma per la sicurezza del VII programma quadro, una rete di eccellenza finalizzata proprio ad aumentare l'efficacia della formazione e della ricerca sui temi della biosicurezza in campo agroalimentare. Obiettivo: dare vita a un Centro di Competenza virtuale che sia anche punto di riferimento a livello europeo.

Nel progetto quinquennale, denominato Plant and food biosecurity, sono coinvolti 13 partner, 8 gruppi di lavoro e tre continenti (partecipano anche Israele e Stati Uniti). «La biosicurezza agro-alimentare è un campo di ricerca relativamente recente in Europa – precisa John Mumford, dell'Imperial College di Londra, specialista di analisi del rischio e tra i protagonisti del progetto –. La maggior parte delle esperienze su questo tema sono state infatti condotte negli Usa, in Nuova Zelanda e in Australia. Ma tutti potrebbero essere dei potenziali bersagli». E non si tratta solo di un problema di salute: «attacchi bioterroristici sulle colture o altre parti della catena alimentare può avere conseguenze economiche molto gravi – continua l'esperto –. Gli agricoltori già spendono miliardi di euro in tutto il mondo per il controllo dei parassiti "normali" che infestano le colture. Ciononostante perdono un terzo della produzione.

Un rilascio mirato di un parassita avrebbe conseguenze ben peggiori». Con implicazioni anche sociali. «Gli effetti sociali – dice Mumford – sono importanti sia per le comunità che dipendono da colture specifiche, sia per le comunità altamente dipendenti. Che diventerebbero obiettivi particolarmente vulnerabili. Ma l'interruzione della filiera alimentare in seguito a un evento bioterroristico potrebbe influenzare, per paura, il comportamento dei consumatori anche verso altri prodotti correlati, anche se non direttamente coinvolti».

Le Autorità agricole dei paesi dell'Unione europea hanno programmi sofisticati per valutare il rischio di epidemie naturali da insetti e malattie. E forniscono un buon punto di partenza per prevedere come un focolaio intenzionale potrebbe svilupparsi, diffondersi e causare danni. «Ma un attacco intenzionale – spiega Mumford – dipende fondamentalmente dalla capacità, la motivazione e la determinazione di un piccolo numero di persone le cui azioni sono molto difficili da prevedere, anche perché il più delle volte sono irrazionali. Ci sarà sempre incertezza, dunque. Tuttavia, molte risposte ai rischi di epidemie possono contribuire a ridurre l'impatto di attacchi sia naturali sia intenzionali». Gli sforzi vertono sull'identificazione delle colture e delle comunità particolarmente vulnerabili seguiti da una maggior vigilanza e da piani di risposta in tempi rapidi.

«Il problema della biosicurezza, in un mercato in cui le merci viaggiano ogni giorno da un continente all'altro, non può che essere affrontato in un'ottica globale – commenta Maria Lodovica Gullino, direttore di Agroinnova, che parlerà dei rischi emergenti in Europa in ambito agro-ambientale e agro-alimentare alla Summer School di Torino (si veda il riquadro a destra) –. E il progetto europeo si pone proprio l'obiettivo di creare un sistema internazionale che agevoli lo scambio di competenze, creando i presupposti per la messa a punto di sistemi di diagnosi e risposta rapidi ed efficaci in grado di tutelare al meglio i consumatori».

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