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Questo articolo è stato pubblicato il 21 luglio 2012 alle ore 17:40.

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Fu nientemeno che Albert Einstein a farle cambiare idea, con la sua spiegazione, che all'epoca gli valse il Premio Nobel per la Fisica, dell'effetto fotoelettrico, quello per cui quando la luce colpisce alcuni particolari metalli fa partire, in questi, una corrente elettrica. Non Einstein direttamente ma il professore di Fisica della terza liceo classico frequentata a Milano da Fabiola Gianotti, la scienziata che, a capo di un battaglione sui generis di oltre 3.000 fisici, ha contribuito più di tutti alla recente e grande scoperta del bosone di Higgs, o quel che risulterà poi la particella elementare trovata.

La studentessa di liceo classico, già ben istradata sia dal Conservatorio Musicale di Milano dove studiava il piano, che dal Greco e dal Latino alla bellezza della conoscenza, si era indirizzata alla Filosofia, "curiosa" , come si definisce tutt'oggi, della natura sia umana che soprattutto non, quella che ci sta attorno insomma. Poi quel giorno entra in aula il professore di Fisica e, con quel poco che ha di matematica disponibile al Classico, spiega la bellezza, semplicità e novità del lavoro del grande fisico che poi inventerà dal nulla la Teoria della Relatività. E la giovane Fabiola cade trafitta dalla Fisica: è quello che lei vorrà fare, perché, come per la Filosofia, lì si studiano le domande ultime, quelle "vere", cui forse sappiamo fin dall'inizio, come Ulisse, non ci sarà mai risposta. E quindi via, con giovanile ardore, una bella piroetta a 180 gradi e dalla Filosofia, troppo inconcludente detto pure con rispettosa simpatia, in volo verso la Fisica, specie quella sperimentale, che permette una parte "pratica" di cui anche chi è curioso e propenso all'estetica evidentemente a volte ha bisogno.

A Milano la Gianotti si sta per laureare e un secondo premio Nobel la folgora, quello a Carlo Rubbia per la scoperta della sua particella Wz. Capisce che è là il suo futuro, fra le particelle elementari, i veri "mattoncini", come li definisce lei stessa paragonandoli evidentemente ai giochi della Lego, che permettono di capire come è fatta la materia, dagli atomi infinitamente piccoli all'Universo intero, dato che tutto, dalle stelle e galassie ai nostri corpi e via via fino ai geni del nostro DNA, è fatto di atomi e questi di particelle elementari. Una bella visione e un lavoro enorme da svolgere, dato che le particelle sono elementari solo di nome, ma complicatissime da misurare, studiare e capire.

Appena laureata prende una borsa di studio al CERN di Ginevra, il grande centro di fisica nucleare europeo, e da lì non si muove, professionalmente. E perché dovrebbe peraltro, dato che negli anni è diventato il maggior centro di ricerca del mondo nel suo campo e lei , passo dopo passo, uno dei fisici più stimati del pianeta, tanto che le affidano tre anni fa ATLAS, l'esperimento più grande "attaccato" a LHC, il gigantesco e costosissimo, 8 miliardi di euro, acceleratore di particelle di Ginevra, il maggiore del mondo, con oltre 20 chilometri di diametro. ATLAS è un insieme di acciaio, elettronica, cavi e così via mastodontico, alto metri e metri, come una casa a 10 piani, una specie di grandissima e strana macchina fotografica a molti diversi canali, che registrano le diverse proprietà delle particelle che si scontrano a velocità prossime a quelle della luce dentro LHC , e soprattutto di quelle che escono fuori da questi scontri, tanto violenti quanto inimmaginabili come dimensioni, miliardi e miliardi di volte meno di un millimetro.

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