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Questo articolo è stato pubblicato il 09 settembre 2012 alle ore 15:57.

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Era il 1984 quando Steve Jobs arrivò da Cupertino a Reggio Emilia per conoscere di persona l'azienda distributrice dei suoi prodotti, appena rilevata e diventata sede di Apple Italia (lo rimase ancora per qualche tempo). Proprio in quello stesso anno, nella città emiliana, il primo Mac entrò nelle scuole dell'infanzia, che «Newsweek» consacrerà nel 1991 come le migliori del mondo. Una sincronicità significativa se si conosce il progetto educativo di Reggio Emilia: «Il bambino ha cento lingue, cento mani, cento pensieri, cento modi di pensare, di giocare e di parlare» scriveva in forma di poesia Loris Malaguzzi.

Fin dai primi anni 80 proprio l'ideatore dell'approccio pedagogico reggiano intuì l'importanza dei computer come parte importante del processo di apprendimento dei bambini. Il linguaggio digitale è oggi uno dei cento che animano i 48 tra asili nido e scuole dell'infanzia comunali. I computer si integrano nel progetto educativo, nella vita quotidiana dei bambini, negli arredi pensati apposta per loro. Non sono uno strumento a parte ma vivono in un continuum di esperienza, accanto ai giochi tradizionali, alla creta, ai materiali più strani, alle fotografie.

«Come tutte le tecnologie i computer contribuiscono ad amplificare le conoscenze dei bambini e il loro spazio di possibilità. Sono interessanti per il dialogo continuo tra spazio virtuale e spazio fisico. Così, per esempio, una webcam puntata all'esterno o all'interno della scuola offre un punto di vista diverso della stessa realtà» racconta Paola Cagliari, direttrice dell'Istituzione Comunale Scuole e Nidi d'Infanzia. «Di per sè il computer è "autistico" mentre è interessante come sistema integrato, collegato alla macchina fotografica digitale o magari allo scanner che permette, per esempio, di importare la materia».

La parola d'ordine è sperimentare: «Riteniamo che ai bambini non vadano proposti - puntualizza Cagliari - programmi educativi ma i migliori software a disposizione». E allora via libera a Photoshop e a tutti quei programmi che stimolano a creare. Questa consapevolezza è talmente profonda da arrivare all'origine, al linguaggio di programmazione. Come quando a metà degli anni 90 arrivò nelle scuole - a stretto contatto coi bambini - Seymour Papert, ricercatore del Mit e inventore del linguaggio di programmazione Logo, coinvolto in un progetto di ricerca del Cnr. O come quando i bambini giocarono con i robot, in un progetto nato dalla collaborazione con Lego e Cnr.

Dalle scuole il digitale ha contagiato la città con atelier, progetti di ricerca e sperimentazione aperti a chiunque - bambini, genitori, professionisti aziende - voglia misurarsi con la creatività che nasce dall'incontro tra temi e linguaggi diversi: fotografia, costruttività, tecnologie digitali e webcam, suono, manipolazione, movimento. Dal Centro Internazionale Malaguzzi - dove ha sede Reggio Children - uno di questi atelier, dedicato alla costruttività e al digitale, è appena arrivato al Moma di New York. Dal titolo «Digital landscape. The wonder of learning atelier», affianca la mostra «Century of the child: growing by design, 1900-2000».

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