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Questo articolo è stato pubblicato il 09 settembre 2012 alle ore 16:11.

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Secondo quanto auspicato dalla Fao, nel 2050 dovremmo essere in grado di raddoppiare la produzione alimentare. Tenuto conto di cambiamenti climatici, siccità ricorrenti e progressiva scarsità delle risorse idriche, l'approccio alternativo adottato da alcuni scienziati americani, che promette più raccolti con meno acqua, porta con sé buone speranze. Il segreto, a quanto pare, sta tutto nel microbioma delle piante.

Il "microbioma" di un vegetale è l'insieme di microorganismi simbiotici (funghi, batteri e virus) che vive nelle sue radici. Questo piccolo esercito è fondamentale per il benessere della pianta: in cambio del nutrimento, l'aiuta a ricavare azoto dal terreno, la protegge dal calore, dalla siccità, da organismi dannosi per la sua salute e le dona persino la capacità di sopravvivere in condizioni estreme, come in cima a una montagna o nel mezzo del deserto. Inoltre – pare – può essere trasportato (anzi, spruzzato) da una pianta all'altra.

L'intuizione di uno dei protagonisti della ricerca, Russell Rodriguez della University of Washington di Seattle, risale a dieci anni fa. Nel 2002 studiava le peculiarità di un'erba (Dichanthelium lanuginosum) che vive nel parco di Yellowstone, accanto alle sorgenti termali, capace di vivere con alte temperature (fino a 70°) e poca acqua. Il team di Rodriguez notò che quando i semi venivano sterilizzati per eliminare gli endofiti, cioè i funghi che crescono al loro interno, la nuova pianta "ripulita" perdeva le sue peculiarità.

Di qui l'idea: se i superpoteri della pianta erano dati dal microbioma, perché non provare a isolarlo e piazzarlo su un altro ospite? Le spore degli endofiti vennero quindi spruzzate su semi di frumento, che normalmente cresce fino a temperature di 38°. La "versione originale" ne risultò potenziata, e la nuova pianta dimostrò di poter vivere anch'essa fino a 70° di temperatura e di abbisognare del 50% di acqua in meno.

Test analoghi sono stati fatti con piante dalle caratteristiche preziose come la resistenza al freddo o la sopravvivenza in terreni desertici o salati. Le piantine di riso spruzzate con i loro funghi si sono dimostrate capaci di tollerare sale, freddo, di bere di meno e di crescere molto più della norma.

I risultati sono stati tanto incoraggianti da spingere Rodriguez e la collega Regina Redman a fondare Symbiogenics. Oggi l'azienda sta sperimentando sul campo la somministrazione di fungo Trichoderma a colture di riso: oltre alla resistenza a basse temperature e ambienti salati, le piantine potenziate producono il 35% in più rispetto a quelle non trattate.

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