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Questo articolo è stato pubblicato il 16 settembre 2012 alle ore 15:39.

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C'era una volta un paese, dove il governo aveva distribuito alla popolazione una carta d'identità elettronica, con un chip dotato di una potente chiave crittografica per garantirne la sicurezza. I cittadini, armati di quel chip, potevano non solo intrattenere ogni tipo di rapporto con la pubblica amministrazione, ma anche votare alle elezioni politiche. In realtà, quel paese c'era una volta, ma c'è ancora.

Si chiama Estonia, ha appena un milione e 300mila abitanti ed è un membro dell'Unione europea. Con il suo vasto programma di digitalizzazione, l'Estonia è la nazione più avanzata al mondo verso i lidi della e-democracy, la democrazia elettronica. Alle elezioni dell'anno scorso solo il 24,3% dei partecipanti al voto ha "deposto" la scheda per via digitale. Ma il Parlamento di Tallin, che ha varato per legge questa piccola grande rivoluzione già dal 2003, è certo che il fenomeno crescerà col tempo.

In teoria, quando un bel giorno tutti saranno pronti a esercitare il diritto di voto per via elettronica, potrebbe accadere quel che tanti – perlopiù utopisti e accademici – auspicano: l'apparizione della democrazia elettronica. Il giorno (forse lontano) in cui i cittadini possono derogare, magari occasionalmente, al principio di rappresentanza. Ed esprimersi personalmente su certe decisioni d'interesse nazionale.
L'Italia, si sa, è ben dietro all'Estonia in questo processo. Ma qualcosa si è udito negli ultimi giorni quando, nel bel mezzo della sua pubblica disfida con Beppe Grillo, il consigliere comunale del Movimento 5 Stelle Giovanni Favia ha auspicato una «democrazia liquida dove i cittadini possano decidere continuamente».

Il concetto di liquid democracy, per curioso che sembri, non l'ha inventato lui. Già nell'800 Charles Dogson (meglio noto come Lewis Carrol: sì, proprio l'autore di «Alice nel paese delle meraviglie») aveva proposto un sistema di voto delegato. L'idea di base, è un sistema democratico dove i temi più caldi vengono decisi con un referendum diretto. Ma con l'opzione della delega: siccome non tutti possono conoscere bene un argomento, ognuno ha la possibilità di delegare a qualcuno, o a qualche istituzione, il suo voto. Le deleghe possono a loro volta essere delegate, ma anche revocate in ogni momento. E si può anche fare deleghe diverse per temi diversi. In America, lo chiamano proxy voting e, di fatto, è già largamente utilizzato per le votazioni nelle assemblee di società quotate.

Inutile dire che, nell'epoca della comunicazione digitale tutto questo ha ancora più senso. Ma forse neppure in Estonia è facile che tutto questo si traduca in riforme costituzionali nel breve periodo. Anche se c'è chi ci prova. Il Partito dei Pirati tedesco, nato sulla falsariga di quello svedese per riformare la legislazione in tema di copyright e di privacy online, sta già usando LiquidFeedback. Si tratta di un software open-source, scritto in Germania e pubblicato sotto licenza dell'Mit, «per promuovere l'uso dei mezzi elettronici nella democrazia». All'interno di un partito – ben prima che in uno Stato – la cosa ha senso: «serve a rendere protagonisti i membri dei partiti politici, rendendoli più attraenti per i cittadini e più democratici», aggiungono i promotori di LiquidFeedback. In poche parole, tutti sono chiamati a decidere la linea politica.

Fra le (ancora) ristrette cerchie dei suoi utilizzatori, c'è chi esprime dubbi sull'effettivo riconoscimento di coloro che sono registrati a votare su LiquidFeedback. Figurarsi alle elezioni in Estonia, che sarà sì fiera del suo voto elettronico, ma che – insieme alla Georgia – è anche l'unico paese al mondo ad aver subito un attacco da guerra digitale: nel 2007, durante una contesa con la Russia per la rimozione di una statua d'era sovietica, i server del paese baltico sono stati attaccati su larga scala. E quanto può essere facile truccare, senza farsene accorgere, un risultato elettorale? Troppo. Almeno per il momento.

È di sicuro ancora presto, per vedere l'alba della democrazia elettronica. Eppure, per spinosa che sia la questione, assomiglia tanto a un destino inevitabile, quasi un'evoluzione naturale, dagli agorà dell'antica Grecia agli algoritmi dell'era digitale.

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