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Questo articolo è stato pubblicato il 22 settembre 2012 alle ore 18:05.
I media sociali aiutano davvero la società? Parliamo semplicemente di gadget tecnologici o di pratiche che spingono i cittadini ad appropriarsi di nuove possibilità? Definiscono un vero accesso democratico all'informazione? E, soprattutto, come potranno essere usati in futuro? Domande fondamentali queste, a cui in molti tenteranno di dare una risposta durante la settimana fitta di incontri di Social Media Week (Torino, 24 - 28 settembre).
"Apre le danze" Philippe Aigrain, autore di Sharing. Culture and the Economy in the Internet Age e fondatore di «La Quadrature du Net», che, nella sua dissertazione di apertura, parla del fenomeno della condivisione dei file in rete. Un tema centrale, non solo perché pone un problema economico che ha messo in crisi il sistema industriale e commerciale dominante fino all'avvento del digitale, ma anche perché si incunea in un più vasto paradigma culturale e sociale: cosa significa oggi fruire un testo, divulgarlo, scambiarlo, mostrarlo e magari commentarlo? Significa la produzione e la sempre maggiore richiesta di dati e informazioni che reclamano una nostra più decisa partecipazione e socializzazione.
Non a caso uno dei temi centrali che emerge dal programma di Social Media Week (una manifestazione organizzata contemporaneamente in 14 città del mondo) è che parlare di social media significa anche parlare di città, intesa come apparato urbanistico e sociale e come modello di socialità. Si parlerà così di «Sao Paulo Calling», promosso dallo studio di Stefano Boeri, un progetto per ripensare le favelas della capitale brasiliana attraverso un network sociale che ha messo in contatto insediamenti informali di diverse metropoli mondiali (lo slum di Nairobi, per esempio) realizzando uno scambio di informazioni e pratiche come quelle degli orti urbani e trasformando quartieri degradati in luoghi densi di socialità.
La tecnologia al servizio di un modello sociale e urbano nuovo, partecipato, democratico, open, in cui i media e le reti divengono mezzi che facilitano la comunicazione. Come nel caso di Internet delle cose, la nuova utopia della comunicazione globale di cui parlerà il famoso massmediologo e futurologo Derrick De Kerckhove: una rete di oggetti connessi che veicolano dati, che trasmettano informazioni, che diventano intelligenti. E si discute anche di tecnologie per pensare una città intelligente, in cui il protagonista deve essere il cittadino, come nel caso dei big open data e degli smart grid (le reti intelligenti) nei progetti proposti da Carlo Ratti e dal Mit Senseable City Lab che lui stesso ha fondato e dirige. Alla base c'è l'idea che i dati raccolti dai social network possano divenire i mattoni per edificare una città di servizi partecipata e sempre più attenta ai cittadini che, dal basso, devono poter controllare i flussi di informazioni, e inoltre farsi promotori di politiche mirate.
I media sociali hanno dunque il merito di facilitare la partecipazione, di creare una socialità che dalla Rete riesce ad avere ricadute sul reale. Come nel caso di Instagram, l'applicazione che sta rivoluzionando il mondo della fotografia e che spinge i suoi followers, non solo a fotografare i luoghi e a condividere le proprie visioni, ma anche a riappropriarsi dei luoghi stessi e a farlo in maniera partecipata. E così da ieri gli instagramers hanno invaso la città di Torino per un raduno nazionale e le loro foto saranno protagoniste del progetto "Opera viva", il nuovo calendario digitale di Lavazza che verrà presentato nell'incontro che mette a confronto la fotografia tradizionale e quella digitale. L'esempio di Instagram è emblematico: riappropriarsi e condividere, partecipare e diffondere, sembrano essere infatti le parole chiave di una serie di tecnologie connesse che stanno creando processi comunicativi in grado di rivoluzionare il mercato e di promuovere un sistema culturale nuovo e pieno di promesse per il futuro.
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