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Questo articolo è stato pubblicato il 05 ottobre 2012 alle ore 19:19.
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Guai a chiedere a uno startupper cosa avrebbe fatto al posto del Governo. Sorridono sornioni, poi si fanno seri, ringraziano educatamente per quanto di buono contiene il decreto ma poi ti fanno capire senza mezzi termini che non basta.
«Ho la sensazione che siamo vittime della sindrome del not invented here – commenta Mirko Trasciatti ceo e founder come recita il suo biglietto da visita di Fubles (www.fubles.com) -. Intendo dire che cerchiamo sempre di italianizzare qualcosa che all'estero funziona bene. Sarebbe bastato copiare Startup Cile». Alcuni anni fa il Paese sudamericano ha lanciato un programma per attirare imprenditori innovativi da tutto il mondo. Come ha fatto? Il Governo ha ospitato professionisti della Silicon valley, ha imparato da loro ma soprattutto ha varato un pacchetto di incentivi, che comprendevano l'offerta di 40mila dollari alle startup. Risultato? Sono nate oltre mille nuove imprese in meno di tre anni.
«L'impresa è stata quella di convincere programmatori da tutto il mondo a lavorare in Cile. È questo che vorrei: avere la possibilità di collaborare con persone che hanno la testa diversa dalla mia. Credo che sia questa la ricetta per produrre aziende innovative. Ma non credo che andremo nella metropolitana di Londra per convincere i venture capital a venire in Italia a investire. Così come siamo troppo italiani, dobbiamo trovare il modo di far venire qui da noi professionisti e talenti da tutto il mondo».
Trasciatti da alcuni anni è startupper, sostiene di avere lo stesso le carte in regola per rientrare nel decreto di Passera ma non si è mai mosso dall'Italia. Chi in Cile è davvero andato è Paolo Privitera, ceo di Pick1 arrivato all'evento romano Techcrunch Italy di giovedì scorso fresco fresco di un finanziamento da un milione di dollari. «Non è solo una questione di soldi. Sono appena sceso dall'aereo e sento parlare solo di sgravi fiscali, e carte che non si dovranno più firmare ma il problema è un altro. Qui a Roma saremo in 900 forse un migliaio. Siamo tantissimi ma la vera sfida è quella di aprirsi all'estero. Far affluire imprenditori e idee».
Eppure, quello della liquidità del sistema è il vero nodo da sciogliere.
Pietro Bezza di Connect Venture è relativamente nuovo di questo mondo. Ha un fondo di venture capital di early stage, ha raccolto 20 milioni di euro e vuole raggiungerne 40. «Tagliare la burocrazia o risparmiare in marche da bollo non è il punto. Se sei un imprenditore che ha una idea non fallisci se paghi il notaio. Hai bisogno di capitali. Per questo ben venga il fondo dei fondi, ben venga lo Stato come anchor investor che investe con soggetti specializzati». Paolo Ainio, amministratore delegato di Banzai, rappresenta un pezzo della storia di internet. A lui fanno capo imprese diverse come Studenti.it, Saldi Privati o Liquida.
Per lui il problema non è solo quello di aiutare la nascita delle startup sulle carte del notaio o nel registro delle imprese delle Camere di commercio ma all'interno del sistema economico e produttivo. «Sono felice per l'attenzione al tema ma deluso dalla sostanza dei provvedimenti che sono meritori ma non bastano. La defiscalizzazione degli investimenti è una misura importante per le startup. Ma è inutile se non vengono dati stimoli al mercato. Prendiamo il commercio elettronico, se l'Iva non è competitiva rispetto agli altri Paesi non possiamo pensare di attirare l'attenzione dei venture capital. Preferiranno finanziare startup di Paesi con mercati più facili».
Dello stesso parere Giovanni Ruosi, responsabile sviluppo e strategie di eBay: «Per evitare che resti una rivoluzione su carta, proprio dalla moneta elettronica potrebbero derivare incentivi per le imprese italiane che ancora non vendono online ma che dal commercio elettronico potrebbero ricevere importanti benefici».
Eppure, nessuno mette in dubbio quanto di buono è stato fatto: crowdfunding, work for equity, fondo dei fondi, se l'intero pacchetto dovesse venire convertito in legge senza dubbio si aprirebbe una nuova stagione. «Si può discutere sulle singole misure ma il merito principale è l'approccio aperto all'innovazione», puntualizza Mario Mariani fondatore di NetValue seed capital investor e componente della task force incaricata dal Governo di suggerire cosa inserire nel pacchetto startup. «Per la prima volta viene offerta alla nostra impresa l'opportunità di guardare alle startup come ricerca e sviluppo, come aziende da acquisire per diventare più competitivi. In America Google quando lancia un prodotto guarda prima al mercato delle startup.
Il nostro tessuto di imprese manifatturiere può fare lo stesso. Se l'ecosistema prende forma, se non mettiamo ostacoli a chi vuole lanciare una startup, se rendiamo conveniente investire in capitale di rischio non uno ma tutti gli attori otterranno benefici». Come dire, le misure contenute nel pacchetto aiuteranno solo pochi. Anzi, forse il vero problema è che qualcuno possa approfittare di questo regime speciale per gli startuppari.
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