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Questo articolo è stato pubblicato il 13 ottobre 2012 alle ore 17:16.

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Nel prossimo novembre o dicembre il satellite per telecomunicazioni EchoStar XVI lascerà la Terra per essere collocato in orbita geostazionaria. Porterà con sé anche un disco contenente cento immagini, scelte come epitaffio per il nostro pianeta. Il satellite cesserà di funzionare in circa 15 anni, ma rimarrà lassù, troppo in alto per correre il rischio di precipitare sulla Terra, probabilmente indisturbato per i prossimi cinque miliardi di anni, fino a quando il nostro Sole diventerà una gigante rossa e ingloberà i suoi pianeti.

Il progetto, denominato The Last Pictures, è opera dell'artista Trevor Paglen per conto di Creative Time, un'organizzazione non profit basata a New York che da quasi quarant'anni si dedica alla creazione di progetti artistici in siti particolari (come, per esempio, i due fasci di luce gemelli che hanno commemorato le vittime dell'attentato alle Twin Towers).

Le cento immagini in bianco e nero sono state selezionate da Paglen e dai suoi collaboratori con un lavoro di cinque anni, nel corso dei quali ha intervistato scienziati, artisti, antropologi e filosofi per determinare quali fossero quelle più significative da utilizzare. Sono state poi incise col laser in formato digitale bitmap su un disco di silicio placcato d'oro. Questo dovrebbe renderle inalterabili dal tempo. È stato anche pubblicato un libro, edito dalla University of California, che le raccoglie insieme al racconto di come si è arrivati a scegliere ciascuna.

Non è la prima volta che immagini vengono lanciate nello spazio. Le sonde Voyager 1 e 2, lanciate nel 1977 e da otto anni in navigazione al di fuori del Sistema Solare, portano infatti a bordo un disco analogico contenente, tra le altre cose, 112 immagini della vita sulla Terra, allo scopo di raccontare il nostro pianeta a eventuali esseri intelligenti che dovessero incontrarle.

Il progetto Last Pictures, tuttavia, non si rivolge solo agli esseri di un remoto futuro, ma anche a noi stessi. L'intenzione è quella di spingerci a pensare al significato delle nostre azioni al di là dell'immediato, ma nell'ambito di una scala temporale molto più vasta. Per questo la collezione comprende non soltanto foto documentaristiche della vita sulla Terra, ma anche, per esempio, i petroglifi con cui gli indiani navajo hanno rappresentato l'arrivo dei conquistadores spagnoli, l'immagine di un gruppo di persone sul punto di cadere vittime dell'attacco di un drone statunitense, o gli enigmatici grafici che rappresentano l'attività automatica dei computer per il trading online. È un po' come se Paglen chiedesse a tutti noi: per che cosa vogliamo essere ricordati tra miliardi d'anni?

Il filmato di presentazione del progetto »

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