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Questo articolo è stato pubblicato il 14 ottobre 2012 alle ore 17:21.

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Non fa paura, qualche salto sulla sedia sì ma nulla di memorabile. Sicuramente siamo lontano dai primi titoli della serie uscita nella prima metà degli anni Novanta. Resident Evil 6 si lascia alle spalle il survival horror per abbracciare azione, adrenalina e l'immancabile splatter. È stato descritto come il più ambizioso gioco della saga. Tre campagne distinte più una quarta (a Leon, Chris e Jake si aggiunge Ada Wong) si intrecciano a formare un racconto corale.

Sono passati quindici anni dall'incidente di Raccoon City, ritroviamo Leon nella stanza con il presidente degli Stati Uniti infettato e zombizzato. Da lì si dipana la storia ricca di citazione e camei per gli appassionati della serie ma povera di veri e propri colpi di scena. Complice anche uno sviluppo un po' troppo lineare e qualche errore tecnico di troppo. La campagna di Leon è quella più vicina alla tradizione. Lui è drammaticamente il clone di Sawyer di «Lost», con l'eccezione dei capelli che nel videogioco sono "leccati" e lucidi. Cupa e opprimente nell'ambientazione ma tutto sommato aderente alle attese dei fan (le aberrazioni e le mutazioni sono davvero schifose).

Con Chris il gioco prende un piega alla «Call of Duty»: sequenze spettacolari, azione e piombo. Anche qui durante i combattimenti si perde facilmente la bussola. Peccato per la povertà degli enigmi e la limitata interazione degli oggetti intorno a noi. Con Jake, il mercenario immune al virus C il ritmo è elevato, i mutanti raccapriccianti e i proiettili si sprecano. Difetti a parte, Resident Evil 6 è un gioco longevo e divertente se fatto in due in modalità cooperativa. Sa un po' di operazione nostalgia ma è anche il bello di questi kolossal videoludici.

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