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Questo articolo è stato pubblicato il 24 novembre 2012 alle ore 20:15.

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Questa sera, rispetto a ieri sera, la tavola planetaria avrà 219.000 commensali in più, a sfamare i quali nessuno ha pensato. Ma questi ospiti affamati prima o poi si arrabbieranno molto e inizieranno a cercare di avere comunque quel cibo che spetta a loro come a qualunque altro abitante del pianeta. Per questo, se non per motivazioni eticamente più elevate, bisogna fare qualcosa, e farlo subito. Suona come un vero grido di allarme "9 miliardi di posti a tavola" (Edizioni ambiente, 158 pg, 18 euro) il nuovo libro di Lester Brown, fondatore dell'Earth Policy Institute di Washington, da anni instancabile sostenitore delle lotte ambientaliste e ora in prima linea nella sensibilizzazione di quella che considera la madre di tutte le battaglie.

A Milano per partecipare al Barilla Food e presentare il libro in due incontri il 29 novembre (uno in Bocconi, alle 11, e uno al Castello Sforzesco, alle 17), Brown spiega a Nòva innanzitutto perché, neppure dal suo osservatorio privilegiato di Washington, i governi e i politici sembrano non capire la gravità della situazione: «Perché non sanno nulla di biologia, di idrologia, di produzione agricola: seguono solo ragionamenti economici vecchi, storici, di corto respiro, che non bastano più a descrivere ciò che sta succedendo, e non riescono a modificare il modo di pensare». Le considerazioni economiche, comunque, potrebbero rivelarsi ancora utili, per far ragionare i decisori. Basta leggere alcuni dei moltissimi dati contenuti nel libro: per esempio l'U.N. Food Price Index, che definisce l'andamento dei prezzi a livello mondiale. Ebbene: l'indice mostra che essi sono raddoppiati nel 2012 rispetto al 2002-2004; in altre parole, il cibo è già oggi venduto a costi non più sostenibili. E la causa prima è il cambiamento climatico, anch'esso del tutto ignorato finora: «Il primo e più efficace intervento è quello sulle emissioni di CO2, per decenni quasi ignorate dagli Stati Uniti e non solo. I politici, ma anche la gente comune, non riescono ancora a percepire il legame tra la scarsità di cibo e i gas serra, eppure questo è il punto centrale. In questo senso è necessario un cambiamento culturale, che però non è detto che basti. Ecco perché io propongo uno sforzo bellico». Dette da un pacifista convinto, questa parole suonano un po' strane. Cioè? «Il mondo occidentale ha mostrato di essere in grado di compiere imprese straordinarie che hanno richiesto quantità inimmaginabili di denaro sia dopo le due guerre che anche durante la guerra fredda. È arrivato il momento compiere uno sforzo analogo, ma rivolto alla tutela del pianeta e della sua capacità di darci nutrimento».

La proposta può suonare più o meno come una dichiarazione di intenti, in un periodo di crisi come questo, ma per Brown non lo è affatto: «Già oggi vediamo guerre e sconvolgimenti politici causati dalla scarsità di cibo. I decisori devono capire che quello che è in gioco non è una battaglia di principi ma la sicurezza mondiale. Milioni di persone che non hanno da mangiare possono velocemente trasformarsi in persone disposte a tutto, con conseguenze che non sono tutte prevedibili. Perciò affrontare il problema del clima, dell'acqua, delle coltivazioni è nell'interesse di tutti». Qualcuno, del resto, sembra già molto preoccupato della fame dei propri concittadini, e sta cercando di acquistare anche il campo del vicino, per esempio in Africa, dove riesce a trovare terra a pochissimo prezzo, impoverendo ulteriormente le colture locali. Secondo la Banca mondiale, nel 2010 le acquisizioni di terre da parte di Paesi stranieri sono state 464, per un totale di 140 milioni di acri, cioè più dell'insieme di quelli coltivati a mais e grano in tutti gli Stati Uniti. È il Land Grabbing, la rapina delle terre. «Il problema è che si tratta di pratiche del tutto legali, ed è quindi complicato contrastarle. Bisogna aiutare i paesi più instabili anche con supporti finanziari, e quelli più stabili con campagne di sensibilizzazione, affinché introducano al più presto norme più restrittive e tutelino le proprie terre e gli uomini che le abitano da millenni».

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