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Questo articolo è stato pubblicato il 02 dicembre 2012 alle ore 15:09.
Piccoli social network crescono, anche in Italia. Accanto ai colossi della rete – da Facebook a Twitter fino a Foursquare, Pinterest e Instagram – un manipolo di agguerrite piattaforme iniziano a lasciare il segno. Tracce digitali che restano come segni distintivi nel coinvolgimento favorito dalla lingua italiana. Progetti beta che diventano appetibili per aziende e investitori. «Nei Paesi con un alto tasso di accesso ai social e con una maggiore maturità di utilizzo, come in Italia e negli Stati Uniti, si sta verificando un progressivo abbandono del classico Facebook a vantaggio di nuove forme di aggregazione di socialità in rete», precisa Marcello Mari, responsabile Global Web Index Italia, compagnia londinese che dal 2009 monitora 31 Paesi nel mondo focalizzandosi sulle metriche della rete.
Nell'ultima fotografia scattata meno di due mesi fa emerge che un 45% di utenti attivi iscritti ai media sociali non adotta quelli maggiormente diffusi. Certo, si tratta di una lenta erosione di piccole quote di mercato, ma esplicita al meglio quale "coda lunga" si stia sviluppando e che tipo di filiera digitale si potrebbe venire a creare. «Grazie agli early adopter c'è uno spazio crescente per nuovi attori, soprattutto legati ad aree di interesse specifico», precisa Mari.
Sul social engagement l'Italia si classifica ai primi posti, seguita in Europa soltanto dalla Spagna. Secondo il Global Web Index – che analizza un campione di 4mila risponditori in un anno rappresentativi delle diverse fasce di popolazione – aumenta la permanenza sui social meno conosciuti e ciò favorisce pratiche di engagement declinate anche sul mobile grazie ad app costantemente aggiornate.
Emergono sulla scacchiera della rete nostrana social network legati agli ambiti che contraddistinguono il made in Italy: ristorazione, sport, musica e tempo libero. Come DueSpaghi, social network di recensioni di ristoranti che per primo ha portato in Italia la prenotazione online. È stato inventato nel 2006 dai giovanissimi Marco Palazzo e Stefano Massimino. Vinix è incentrato sul vino, è stato acceso nel 2007 da Filippo Ronco e oggi raccoglie migliaia di iscritti anche tra aziende vinicole e olivicole. Jobberone aggrega domanda e offerta di lavoro.
È nato da due fratelli bresciani che cercavano manodopera sostitutiva in cucina per il loro albergo sul lago di Garda. Zazie permette di creare la propria libreria virtuale condividendola con amici e lettori appassionati, mentre Fubles – messo in rete dal trentunenne Mirko Trasciatti – aggrega giovani con la passione del calcetto, con una community costantemente connessa. Frestyl è un social network geolocalizzato dedicato alla musica dal vivo, con aggiornamenti su locali e concerti. Ed è in fase di lancio CityGlance, che consente il ritrovamento di persone viste in metropolitana.
Storie di successo di imprenditoria digitale, dimostrazione che c'è una via italiana per i social network, con evidenti ricadute per le community aziendali. D'altronde secondo un rapporto dell'Università Bocconi il 76% dei brand considera strategica la scelta di puntare sui social media. «Ma alle aziende sconsiglio di costruire internamente il proprio social. Meglio intercettare comunità già aggregate: le piattaforme sono piazze ed è bene essere in quella principale con un proprio presidio che costruirsene una ex novo», afferma Vincenzo Cosenza, social media strategist di Blogmeter.
La tendenza è andare oltre i social mainstream, in un ecosistema sempre più complesso. «C'è spazio per social piccoli e verticali, ma occorre differenziarsi. Quindi inutile scimmiottare Facebook o Twitter, ma puntare sulle nicchie, costruire un servizio che funzioni bene in fase di consultazione e redigere un business model sostenibile». La via maestra resta il buon equilibrio tra servizio offerto e pubblicità intercettata. Ma attenzione, occorre monetizzare. «Altrimenti – avverte Cosenza – giocoforza si chiude».
giampaolo.colletti@altratv.tv
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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