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Questo articolo è stato pubblicato il 15 dicembre 2012 alle ore 16:38.

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Nel 1999 una piccola impresa estrattiva canadese, Goldcorp Inc, era sull'orlo del fallimento. C'erano debiti e c'erano scioperi; non c'era traccia, invece, di altri giacimenti d'oro. Cercarli era diventato troppo costoso, e si parlava di chiudere l'azienda. Nel marzo del 2000 si decise di tentare il tutto per tutto: messi online i dati territoriali raccolti in 50 anni di attività, venne indetto un concorso per cercatori d'oro virtuali, con tanto di premio (generoso) per chi fosse riuscito a trovare nuovi filoni. Risposero in più di mille, da ogni parte del mondo. Lavorando in rete, individuarono 110 nuovi target, l'80% dei quali rivelò ingenti quantità d'oro. Goldcorp divenne un colosso del settore, ma il successo era un altro: per la prima volta, era stato avvalorato un approccio partecipativo.

Del 1999 è anche seti@home, il celebre progetto di calcolo distribuito volontario promosso dall'Università della California che utilizza computer connessi a internet per analizzare i segnali radio ricevuti dal radiotelescopio di Arecibo. Lo scopo è la ricerca di segni di intelligenza extraterrestre. Basta iscriversi, e "donare" i momenti di riposo del proprio computer: durante le nostre pause, verrà utilizzato in remoto. Copenhagen Weel, realizzato dal Senseable Lab dell'Mit per la capitale danese, è un'evoluzione del concetto: un cerchione rosso da montare sulla bicicletta nasconde un sensore che registra informazioni sul traffico, condizioni atmosferiche, inquinamento, rumore, e invia il tutto, in automatico, al locale ministero dell'Ambiente. Il primo caso qui riportato necessitava di un background scientifico. Nel secondo e nel terzo, si era volontari passivi: il lavoro lo faceva il pc, e chi lo gestiva a distanza. Oggi la situazione è cambiata. Smartphone e tablet, tramite app dedicate, permettono a un generico utente di registrare immagini, suoni e filmati; di catalogare e raccogliere dati. Di partecipare attivamente e in prima persona a progetti scientifici seri e strutturati.

Per anni, la reputazione della "citizen science" non ha goduto dei favori della comunità scientifica. Snobbata come scialba imitazione del lavoro degli scienziati, più vicina all'edutainment che alla scienza vera e propria, poteva contare sull'entusiasmo dei partecipanti ma non sul supporto degli addetti ai lavori. La diffusione capillare di dispositivi in grado di svolgere determinate funzioni ha però cambiato anzitutto le premesse. Applicazioni per iOS e Android, progettate per essere intuitive e spesso divertenti, trasformano ora alcune delle operazioni preferite dall'utente medio (scattare foto, realizzare video, registrare suoni) in raccolta di dati scientifici che convergono poi in progetti di ricerca. Tramite il proprio dispositivo è possibile mappare il deperimento dei frassini, dividere in gruppi i richiami delle balene o fotografare un animale investito da una macchina per valutare l'impatto della rete stradale sulla fauna selvatica.

Utilizzati come ricettori, o pensatori, o giocatori, i cittadini si divertono e si sentono importanti; la scienza ci guadagna. La guida pubblicata nel mese di novembre dall'Environmental Observation Framework britannico metteva in evidenza anche la convenienza economica della nuova situazione: in un momento di austerity, i progetti di citizen science si distinguono per l'ottimo rapporto tra costi ed efficacia. In breve tempo è possibile raccogliere una moltitudine di dati, e farlo (quasi) gratuitamente.

Certo, non mancano le criticità. Perché funzioni su larga scala, un progetto di citizen science deve formare i propri utenti dotandoli di specifiche capacità (come il corretto utilizzo di un'app); fornire loro feedback e premi; programmare studi fattibili e pubblicabili, e prevederne la pubblica promozione. Tutto questo dev'essere interiorizzato anzitutto dalla comunità scientifica: altrimenti, il rischio è che il circolo virtuoso non si inneschi. Altri problemi possono derivare dalla necessità di standardizzare i dati raccolti (ottimi gli esempi forniti da piattaforme come Zooniverse.org o iNaturalist, che utilizzano gli standard comuni) o di gestire l'enorme quantità di informazioni che deriva da una risposta entusiastica. È il caso di Instant Wild, app che permette di vedere in real time le immagini trasmesse da videocamere situate in zone remote del pianeta e di aiutare nell'identificazione delle varie specie animali. È talmente coinvolgente che raccoglie più dati di quanti non si riesca al momento ad analizzare.

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