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Questo articolo è stato pubblicato il 10 febbraio 2013 alle ore 14:24.

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In Italia, per quanto riguarda le biobanche dedicate alla ricerca, la situazione è analoga a quella statunitense, anche se nel nostro sistema l'aspetto commerciale non è presente e il finanziamento è pubblico o sostenuto da enti non profit quali Telethon: ne esistono di vario tipo, in vita da anni o nate di recente e caratterizzate da finalità diverse.

Nessuno le ha mai censite con precisione, ma anche in seguito all'impulso dato dalla Commissione europea, che nel 2008 ha avviato un progetto per la formazione di una Infrastruttura paneuropea di biobanche e risorse di ricerca biomolecolari, al momento è in atto il tentativo di individuare standard minimi uguali per tutti. Spiega Filippo Belardelli, direttore del dipartimento di Biologia cellulare e neuroscienze dell'Istituto superiore di sanità: «Per quanto riguarda la ricerca, esistono almeno una cinquantina di biobanche che raccolgono cellule e tessuti, geni, campioni di persone con malattie specifiche, o che appartengono a popolazioni specifiche, per esempio molto longeve.

Quello che stiamo facendo è da una parte ottenere quante più informazioni possibili e dall'altra trovare criteri condivisi per la raccolta, l'immagazzinamento e l'utilizzo dei campioni, nonché per la messa in rete di tutte le informazioni». L'obiettivo è quello di giungere a un sistema che risponda ai requisiti della rete europea ed entri così a farvi parte al più presto (secondo i programmi entro fine anno).
«Si tratta di un lavoro utilissimo per tutto il mondo della ricerca – continua –, ma molto complicato anche perché ogni regione, finora, ha agito da sola e questo genera non pochi problemi.

Poi vi sono da considerare aspetti etici e legali, nonché i rapporti con le industrie, molto interessate alle biobanche perché spesso non intenzionate o in grado di svilupparne di proprie. Obiettivo dello sforzo, peraltro, è anche quello di razionalizzare un settore in cui vi sono anche sprechi e doppioni».
Tra le reti di biobanche già esistenti, Beraldelli cita come punti di riferimento quella di Telethon, che ne riunisce una decina, e quella oncologica (Ribbo, Rete italiana biobanche oncologiche, diretta da Angelo Paradiso dell'Istituto oncologico di Bari), già molto sviluppata in alcune realtà. Ma oltre alla ricerca in Italia vi sono anche le biobanche dedicate a finalità più prettamente terapeutiche.

In questo caso il riferimento è al Centro nazionale trapianti del ministero della Salute diretto da Alessandro Nanni Costa, che opera secondo standard più definiti per ovvi motivi. Mancano invece biobanche con finalità commerciali, anche se, secondo Belardelli, potrebbe esserci una realtà sommersa che va comunque portata alla luce. Del resto, che la situazione sia più complicata, lo dimostra l'Antitrust, che nel 2011 ha obbligato sei società straniere per la conservazione del cordone ombelicale che facevano pubblicità in Italia (Future Health Italia, Sorgente, Crylogit Regener, Futura Stem Cells, Cryo Save Italia e Smart Bank) a modificare i propri messaggi perché ingannevoli.

In Italia la conservazione autologa del cordone ombelicale è vietata, tranne che in casi eccezionali, ma decine di migliaia di persone hanno aggirato l'ostacolo rivolgendosi a una delle circa 30 società straniere specializzate. Non sapendo che l'effettiva utilità delle staminali cordonali è discussa e che, in 200.000 trapianti di staminali effettuati tra il 2000 e il 2008, non è mai stato impiegato il cordone ombelicale conservato all'estero. (a. cod.)

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