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Questo articolo è stato pubblicato il 24 marzo 2013 alle ore 12:41.

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Stanco di una burocrazia irritante e di un sistema fiscale esoso? Prendi la tua azienda e trasportala nel Regno Unito. È quello che propone la Incoa (International company advisors) di Londra, una società nata per aiutare le piccole e medie imprese italiane che vogliono trasferirsi armi e bagagli oltremanica oppure desiderano aprire una sede all'estero. Ma converrà veramente?

Cominciamo col dire che una società che si sposta, per esempio, da Roma a Londra fa immediatamente un vertiginoso salto nella classifica (2012) di World Bank dei Paesi in cui è più facile fare business: si passa, infatti, dal 73esimo posto occupato dall'Italia (dopo Trinidad, Kirghizistan, Turchia e Romania) al settimo posto del Regno Unito. Se invece prendiamo in esame la possibilità di accedere al credito, dettaglio non secondario per chi mette su un'impresa, abbiamo un passaggio shock dal 104esimo posto dell'Italia al numero uno occupato dai britannici.

Alla luce di questi dati, ci facciamo raccontare da Riccardo Varrazza, Ceo e fondatore di Incoa e da 10 anni a Londra, quali sono le altre ragioni per le quali vale la pena fare business all'ombra del Big Ben. «Sono almeno due – spiega –: la possibilità di accedere in maniera molto più semplice e diretta al mercato internazionale e quella di usufruire di una tassazione molto più favorevole che in Italia».

Sul primo punto non ci possono essere molti dubbi, basta vedere il numero di corporation internazionali che hanno sedi qui: da Google ad Amazon passando per Starbucks. Per quel che riguarda il sistema fiscale, se si decide di registrare la propria società come Limited Company, la forma societaria scelta normalmente dalle Pmi straniere che aprono in Gran Bretagna (simile alla Srl italiana), si è soggetti al pagamento della cosiddetta Corporation tax.

Le fasce di tassazione della Corporation tax sono definite da due limiti marginali: uno in basso di 300mila e uno in alto di 1,5 milioni di sterline. In pratica, su un profitto inferiore a 300mila sterline si paga il 20% di aliquota; da questa quota fino a un profitto inferiore a 1,5 milioni si applica un'aliquota tra il 20 e il 23% che viene calcolata con il "marginal relief", un sistema di deduzione fiscale basato sulla vicinanza del proprio reddito con il limite marginale basso o alto. Da 1,5 milioni di profitto in su si paga, invece, il 24 per cento. Da notare, inoltre, che nei prossimi due anni quest'ultima aliquota scenderà di un ulteriore 1% l'anno, portandosi al 23% nell'aprile del 2013 e al 22% nel 2014. Per quanto non sia semplice una comparativa col sistema fiscale italiano, si può però rilevare che il corporate tax rate totale medio italiano è del 31,4%, quindi, in ogni caso, ben superiore a quel 24% che pagano le società con i profitti più alti in Gran Bretagna.

Se spostiamo l'attenzione sulla burocrazia, poi, altre differenze balzano subito agli occhi. «Qui puoi aprire un'azienda in un giorno – spiega Riccardo – facendo tutto online (costo 15 sterline) e non sei costretto ad aprire una partita Iva finché non raggiungi una soglia di fatturato di 77mila sterline».
Esodo di massa verso Londra e dintorni, quindi? Non tutti sono d'accordo. Luigi Capello, fondatore di EnLabs, Incubatore & Acceleratore per startup, è uno di questi. «Io consiglierei a una piccola azienda, soprattutto una startup, di rimanere in Italia. Anzitutto per i costi. In Italia, specialmente nel settore tecnologico, si trovano professionalità a costi molto più bassi. Qui si può assumere uno sviluppatore web per 15mila euro, a Londra ce ne vogliono almeno 40mila. Per non parlare dei costi di un ufficio, di una casa e così via». E sui costi, in effetti, l'Italia è competitiva. Ma per il resto? «L'Italia di oggi è un paradiso per avviare una nuova azienda – rilancia Luigi –, ci sono tantissimi talenti e grandissimi spazi inesplorati a disposizione. Siamo nella prateria».

Di parere simile anche Giuseppe D'Antonio, Ceo di CircleMe – un portale social per collezionare le cose che ti piacciono – con base sia a Milano sia a Londra. «Una risorsa che ci fa rimanere in Italia è l'accesso a un team molto valido che sarebbe stato troppo costoso costruire in altre nazioni, come il Regno Unito. Inoltre, lanciare in un Paese come l'Italia – aggiunge Giuseppe – ti permette di lavorare con utenti più recettivi e meno bombardati dalle offerte della competizione».
Insomma, l'Italia conviene per tagliare i costi, per i talenti disponibili e, in alcuni casi, per una minore concorrenza: il Regno Unito per tutto il resto. Agli imprenditori italiani la scelta.

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