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Questo articolo è stato pubblicato il 31 marzo 2013 alle ore 12:43.

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«Non ho alcun dubbio che, da qui a fine secolo, qualcuno sperimenterà con successo la clonazione riproduttiva di un essere umano», assicura Philip Ball. Un traguardo scientifico che fa venire la pelle d'oca a un sacco di gente, «ma del quale non si capisce ancora la vera utilità». Semmai, «un'altra tecnologia diventerà realtà: il miglioramento genetico degli esseri umani. Che, pur avendo straordinarie implicazioni, già da solo comporta domande etiche molto serie».

Philip Ball è un divulgatore scientifico inglese. Due anni fa ha scritto «Unnatural», un libro (la cui versione italiana esce per i tipi di Codice Edizioni) che ripercorre la storia dell'avversità, per non dire la ripugnanza, con la quale vengono accolte la scienza e la fantascienza della riproduzione artificiale. «Quel che ho scoperto – racconta Ball, raggiunto al telefono nella sua abitazione londinese – è che culture lontane non provavano altrettanto disgusto per queste cose, forse incoraggiate da miti e leggende». Poi, forse con l'inquietante «Frankenstein» di Mary Shelley e il distopico «Brave new world» di Aldous Huxley, la prospettiva è cambiata.

A più riprese, le Nazioni Unite hanno cercato di arrivare a una dichiarazione universale contro la clonazione. Ma l'unico trattato sul tema è stato ratificato da pochi paesi del mondo. Oppure, basta prendere l'Europa: le legislazioni in materia riproduttiva sono enormemente diverse fra loro (e quelle italiane sono fra le più restrittive in assoluto). «Questo è inevitabile – risponde Ball – anzi, è impensabile che un giorno si arrivi a una dichiarazione universale: ogni paese avrà sempre una diversa posizione etica, sotto l'influenza delle diverse religioni».

Hollywood ha lavorato molto, su questo tema. Secondo lei, qual è il film che più si avvicina alla futura realtà? «Beh, direi Gattaca, con Ethan Hawke e Uma Thurman», risponde lo scrittore. «L'idea di una società dove le classi sociali sono separate dal miglioramento del patrimonio genetico, è oggettivamente interessante. Ma scrittori e sceneggiatori inquadrano sempre queste cose nello scenario di uno Stato totalitario. Io credo che sia l'ennesimo mito. Più che dei regimi politici, mi preoccuperei dei meccanismi del mercato capitalistico».

Si può brevettare un gene? Qualcuno l'ha già fatto. Si può "fabbricare" dello sperma partendo da una cellula staminale? Qualcuno lo sta già facendo: un occhio per la scienza e uno per l'utile netto. «Credo che un serio dibattito su questi temi sia necessario, per arrivare quantomeno a un set di regole condivise». Ma lei non crede che, anche in assenza di regole, ci sarà sempre qualche laboratorio pronto a spingersi ben oltre i confini etici? «Oh, sì, non c'è dubbio. Il recente caso in Corea del Sud, un approccio non esattamente etico sulla tecnologia applicata alle staminali, lo dimostra».

Mentre in Italia esce «Non è naturale», in Inghilterra è già uscito il libro successivo di Ball, intitolato «Curiosity». «È la storia della curiosità scientifica, che è esplosa nel '700 aprendo la strada alla scienza moderna», racconta l'autore. «E qui il ruolo dell'Italia è stato straordinario. Non solo Galileo. Ma anche pensatori meno conosciuti, come Gianbattista Della Porta o Bernardino Telesio».

Ma non sono collegati i due temi? Non è la curiosità che muove imprese monumentali come quella del genetista-star Craig Venter, alle prese con la vita sintetica? Ad esempio, come suggerisce Venter, per la "creazione" di un batterio capace di produrre energia? «L'Lhc al Cern di Ginevra è un esempio di come la scienza possa essere curiosa e disinteressata», risponde Ball. «Ma nel caso di Venter, mentre ci sono buone ragioni per la ricerca su quel batterio artificiale, sospetto che venga perseguita per motivi un po' diversi dalla curiosità».

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