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Questo articolo è stato pubblicato il 29 novembre 2010 alle ore 08:01.
L'ultima modifica è del 29 novembre 2010 alle ore 08:38.
Cercare un «centralista» in parlamento, nelle regioni o nei comuni è come andare per tartufi nel deserto. Tutti vogliono il federalismo, tutti dedicano convegni e discorsi entusiasti alla «sfida del futuro» offerta dalla riforma, ma da quando si è trattato di passare ai fatti l'armonia è sfumata e le stecche sono quotidiane. Il decreto sul fisco regionale non riesce a strappare il parere, obbligatorio, dei governatori, e quello sulle entrate dei comuni, che portà con sé la cedolare secca sugli affitti attesa da milioni di contribuenti, deve ancora risolvere la questione fondamentale, quella dei numeri.
Il tira e molla tra governo e amministratori locali, però, non può durare a lungo: per far partire davvero la tassa piatta sugli affitti siamo già in ritardo, l'ordalia del 14 dicembre sulle sorti della maggioranza si avvicina a grandi passi e il tempo, in questo caso, non è galantuomo. Ognuna delle "controparti" ha le sue ragioni, ma nessuna ha finora mostrato lo scatto decisivo per farle dialogare con le ragioni degli altri. Ora arriva l'ultima occasione per farlo, anche per far ricredere i tanti che, guardando il dibattito sulla riforma dell'università, pensano che il rapporto fra la politica e il merito dei problemi sia ormai solo casuale.