Federalismo fiscale: una riforma destinata a cambiare l'Italia

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Per l'azienda le brutte sorprese federaliste. Sugli immobili si stima rincaro di 700-800 milioni

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Questo articolo è stato pubblicato il 14 febbraio 2011 alle ore 06:36.

Non c'è solo l'imposta municipale su capannoni, negozi, uffici e centri commerciali. Il restyling del fisco territoriale introduce nuovi tributi e modifica vecchie tasse che – con gradi e sfumature diverse – potrebbero incrementare la pressione fiscale sul mondo produttivo.
Da qualche giorno circolano le prime stime sugli effetti del federalismo tributario: secondo la Cgia di Mestre, il passaggio dall'Ici all'Imu costerà alle imprese 542 milioni di euro di tasse all'anno in più, che diventano 738 milioni se si conteggiano anche gli edifici strumentali delle aziende che non sono persone giuridiche. Le elaborazioni di Rete Imprese Italia, invece, arrivano a 812 milioni.

L'identikit dei nuovi tributi

Il rincaro legato alla nuova imposta municipale si spiega con la differenza di aliquote: 7,6 per mille quella dell'Imu; 6,4 per mille di media quella attuale dell'Ici. Tutto dipenderà, però, dalle scelte concrete a livello locale. Lo schema di decreto sul federalismo municipale permette ai sindaci di dimezzare il prelievo sulle imprese, ma anche di alzare l'aliquota ordinaria dell'Imu fino al 10,6 per mille. E il timore degli operatori economici è che le difficoltà di bilancio degli enti locali rendano impossibile effettuare gli sconti, che pure sulla carta sarebbero praticabili.

Lo stesso discorso vale per l'Irap. A partire dal 2014 le regioni con i conti in ordine potranno tagliare l'aliquota, fino ad arrivare a zero (almeno in teoria), mentre per quelle in extra-deficit rimangono gli automatismi che introducono le superaliquote (fino al 4,97%) per coprire i buchi. Gli esempi in alto simulano tre scenari, due di riduzione dell'aliquota e uno di aumento: per una società con un imponibile di 1,8 milioni, la distanza tra buona e cattiva amministrazione si misura in 35mila euro all'anno di Irap in più o in meno. Numeri con cui il federalismo è chiamato ad aumentare la competizione tra i territori e la responsabilità degli amministratori locali.

Il pallino è in mano agli amministratori anche con l'imposta di scopo, introdotta dalla Finanziaria 2007 e finora utilizzata solamente in una manciata di città. Lo schema di decreto sul federalismo municipale potenzia questo strumento, ampliando i margini di manovra dei sindaci: in pratica, si potrà istituire un tributo temporaneo per un massimo di dieci anni e per coprire tutto il costo di molte opere pubbliche (come scuole, parcheggi, asili nido, giardini e nuove strade). Oggi, invece, non si possono superare i cinque anni e la quota finanziabile non va oltre il 30%: un bel problema, con la carenza di risorse dovuta al patto di stabilità e la difficoltà tutta italiana di prevedere fin dall'inizio la spesa effettiva per i lavori. Per avere un'idea, in un capoluogo di provincia con 75mila abitanti e un gettito annuo Ici di circa 10 milioni di euro, l'imposta di scopo "potenziata" può valere da 150mila a quasi 800mila euro all'anno, il tutto moltiplicato per dieci anni (almeno stando alla formulazione attuale, che prevede fino allo 0,5 per mille applicato alla base imponibile Ici).

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Gli operatori economici sono preoccupati anche per un'altra tassa – quella di soggiorno – che non colpisce direttamente le imprese, ma potrebbe riflettersi negativamente sul turismo, come ha rilevato anche Federalberghi.
A livello nazionale il tributo può valere almeno 600 milioni di euro, ma ha una distribuzione tutt'altro che uniforme. Ad esempio Ravenna, al nono posto nella top-ten dei pernottamenti, potrebbe incassare da 1,3 milioni all'anno (con l'imposta al minimo, un euro per notte) fino a un massimo teorico di 6,5 milioni (se tutti pagassero 5 euro). La bozza del decreto, però, impone di modulare il tributo in rapporto al prezzo pagato alla reception: probabile, quindi, che il gettito reale si collochi a mezza via. A poter attivare l'imposta, inoltre, non saranno solo i grandi centri, ma anche le località turistiche minori, purché inserite negli elenchi regionali.

Il quadro, comunque, resta tutt'altro che definito. Un assessore al bilancio o un funzionario della ragioneria comunale che volesse fare stime più precise – allo stato attuale – dovrebbe deporre la calcolatrice. La super-imposta di scopo, in particolare, non potrà vedere la luce senza il regolamento da emanare entro 60 giorni dopo l'entrata in vigore del decreto e – quel che più conta – dopo l'intesa nella conferenza Stato-città autonomie locali. Anche per l'imposta di soggiorno è previsto un regolamento entro 60 giorni, ma nel caso non arrivasse in tempo i comuni potranno procedere lo stesso.

Da un provvedimento attuativo dipendono anche i dettagli dell'imposta municipale secondaria. La sorella minore dell'Imu dal 2014 andrà a sostituire le tasse legate all'occupazione del suolo pubblico (dehors di bar e caffetterie, banchi del mercato, impalcature di cantieri) e all'utilizzo di spazi pubblicitari (cartelloni e insegne su edifici). Anche in questa circostanza, a pagare sarà il mondo produttivo, ma non si può dire se sarà un vero rincaro; per adesso, l'unico effetto prevedibile è una forte semplificazione burocratica.

A fare da sfondo ai nuovi tributi, infine, c'è una vecchia conoscenza dei contribuenti: l'addizionale Irpef, la leva in più su cui i comuni potranno contare per far quadrare preventivi e consuntivi. In questo caso l'eventuale inasprimento del prelievo – accanto a dipendenti e pensionati – colpirà tutti quegli imprenditori (e sono la maggioranza) che non versano l'imposta sul reddito di società, ma quella sul reddito delle persone fisiche.

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