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Questo articolo è stato pubblicato il 03 marzo 2011 alle ore 16:11.
Molte buone idee, come quella di spingere le energie rinnovabili obbligando le case (quelle nuove e quelle da ristrutturare) a diventare "verdi" a partire dal 2017. Oppure, ancor più importante, la scelta strategica di un incentivo «mobile», da commisurare periodicamente al costo degli impianti e alla loro efficienza energetica e quindi alla loro redditività economica. Ma nel nuovo decreto legislativo sugli incentivi alle rinnovabili il rischio del solito pasticcio all'italiana c'é. Il settore che più al mondo deve mescolare tecnologia, programmazione politica, finanza e (soprattutto) regole e criteri sufficientemente stabili nel tempo, mostra un'incognita prorpio qui: sulla certezza (incertezza, in questo caso) del diritto. Project financing indispensabile per attivare la complessa catena di finanziamenti-investimenti a cui si devono affidare le imprese per dare il loro contributo alla sfida delle rinnovabili? Ci si domanda se il sistema potrà continuare a funzionare correttamente.
Le mediazioni nel decreto varato
L'interrogativo é emerso quando il Consiglio dei ministri ha trovato la sua soluzione ai dubbi e alle controversie (leggi il testo del decreto). Quelle tra ministero dello Sviluppo, che comprensibilmente ammoniva sull'esigenza di rivedere un meccanismo di incentivi alle fonti verdi che «ha prodotto più profitti per alcuni che energia pulita per tutti» (parole proferite, con onestà, proprio da un imprenditore del solare italiano) e ministero dell'Ambiente, sensibile alla voce degli ambientalisti e degli operatori ma soprattutto deciso a non abdicare neanche un po' alla sua principale fonte di manovra, consenso, potere.
Tutto rinviato a un nuovo provvedimento
Il nuovo decreto legislativo sui finanziamenti alle rinnovabili ci dà una certezza: la parola del Governo e le regole da questo appena ridefinite (meno di un anno fa, con la revisione periodica al ribasso degli incentivi del "conto energia") non vanno considerate né stabili, né immutabili. Non solo vanno rese "mobili" nel tempo (e questo, se ben congegnato, non è certo sbagliato). Ma sono difficilmente programmabili anche nei loro criteri di base. Tant'è che il nuovo decreto, approvato a Palazzo Chigi, rinvia tutti i contenuti effettivi a un ulteriore decreto che il ministro dello Sviluppo, Paolo Romani, dovrà congegnare entro giugno prossimo. Con un principio certo, già fissato: il tetto "secco" degli 8mila megawatt ipotizzato dallo stesso Romani e aspramente contestato dagli operatori, oltre che dalle associazioni ambientaliste, non ci sarà. Ci sarà, in compenso, un tetto fisso annuale da definire volta per volta. Chi è dentro è dentro. Chi è fuori è fuori. Con buona pace delle esigenze del project financing.
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