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Questo articolo è stato pubblicato il 15 marzo 2011 alle ore 07:50.

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Malgrado il vistoso crollo dell'indice Nikkei, la Borsa giapponese dovrebbe rappresentare l'incognita minore per i mercati finanziari. L'indice potrebbe scendere ulteriormente e soprattutto perdere in termini relativi rispetto a Wall Street, ma nel medio periodo la situazione dovrebbe stabilizzarsi. Così almeno è avvenuto 16 anni fa, a distanza di sei mesi dal terremoto di Kolbe, che fu tuttavia molto meno distruttivo del presente. Nella gerarchia delle attività più rischiose e dunque più reattive alla gravità degli eventi, JP Morgan considera le azioni come le meno vulnerabili e le materie prime come le più esposte ai ribassi o, in ogni caso, alla volatilità. In mezzo sta il mercato del credito.

L'analisi di JPM, considerando le attività finanziarie globali e non solo quelle nipponiche, suggerisce che qualche ripercussione si vedrà dunque anche sulle economie occidentali. Altri analisti ritengono che la crescita negli Usa e in Europa potrebbe subire un piccolo rallentamento. Questa ipotesi sembrerebbe esser stata considerata dalle borse del Vecchio continente, ma molto meno da Wall Street. A dire il vero anche i mercati dei titoli di stato si stanno comportando in maniera poco conforme alle analisi degli economisti. I Treasury sono per lo più saliti (dunque sono scesi i rendimenti), specie per le scadenze più brevi, poiché nell'immediato prevalgono gli acquisti di chi cerca sicurezza.

Ma nel medio periodo i titoli di stato potrebbero soffrire. Così dovrebbe essere per quelli europei, visto che la banca centrale nipponica non è più nelle condizioni di acquistare bond governativi come aveva promesso. E così sarebbe per quelli statunitensi, poiché l'urgenza di reperire risorse potrebbe consigliare la vendita di una parte degli 882 miliardi di $ di Treasury che fanno del Giappone il maggior detentore di debito Usa dopo la Cina. E, in ogni caso, le minori esportazioni nipponiche a causa della chiusura di parecchi impianti industriali, ridurrebbero l'attivo commerciale del paese che ha prodotto le forti riserve in valuta estera.

Ma vendere il debito americano significherebbe far apprezzare lo yen che già sta correndo a causa dei rimpatri di capitali, specie da parte delle compagnie assicuratrici giapponesi. Ma, come ha sottolineato Mohamed El–Erian di Pimco, la banca centrale, oltre a tenere i tassi a zero, creerà tutta la liquidità possibile.

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