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Questo articolo è stato pubblicato il 09 aprile 2011 alle ore 09:36.

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I viticoltori chiedono al Governo una moratoria sugli impianti «alla Sarkozy»I viticoltori chiedono al Governo una moratoria sugli impianti «alla Sarkozy»

VERONA. «Chiediamo al governo italiano di proporre alla Ue la proroga della liberalizzazione dei diritti d'impianto delle vigne, come farà certamente Sarkozy – dice Mario Guidi, neopresidente di Confagricoltura – mentre dall'Unione europea, che fa confusione e ci carica di oneri impropri, non possiamo accettare un modello di sviluppo che indebolisce il sistema vino Italia mentre i produttori faranno la loro parte anche dal 2012 investendo annualmente 300 milioni, a fronte di altri 300 milioni della Ue, in ammodernamento aziendale e promozione».

Ieri Guidi nel corso di un convegno di Confagricoltura sulle prospettive del settore vitivinicolo – organizzato al salone Vinitaly di verona – ha richiamato Bruxelles a un maggiore chiarezza per tutelare il modello vincente delle denominazioni: quello adottato dal vino italiano che punta sulla «rete della qualità», sulla valorizzazione delle denominazioni di origine e sulle specificità territoriali. Paradossalmente il modello vincente della viticoltura europea ed italiana, che si oppone al low cost dei nuovi Paesi entranti, non è sostenuto dal legislatore europeo. Guidi ha criticato le scelte di Bruxelles sulla liberalizzazione dei vigneti «che hanno l'effetto opposto, indeboliscono invece di rafforzare». «Certo – rileva – il valore aggiunto del legame con il territorio è ancora ampiamente riconosciuto, ma non possiamo accettare un meccanismo che rende ingestibili i volumi produttivi e le superfici vitate».

Per i vini varietali (cioè i vini comuni che riportano in etichetta il nome del vitigno e l'annata) Bruxelles non richiede controlli specifici e concede estrema flessibilità normativa, condizione che determina costi di produzione più bassi. Al contrario per i vini ad indicazione geografica il sistema europeo ha ingessato le procedure di registrazione e di controllo – con aumento dei costi – ponendo le due tipologie produttive su un contesto competitivo squilibrato.

Confagricoltura intende richiamare «all'attenzione della Commissione e del Parlamento europeo – ha sottolineato Guidi facendo riferimento al principio di codecisione – la necessità di proteggere il patrimonio di 1.800 denominazioni europee anche in sede Wto. Bruxelles ha trasformato le Doc in Dop e le Igt in Igp, ha aumentato il carico burocratico e le rigidità, per ottenere una maggiore protezione che poi non intende difendere a Ginevra. Servono meno confusione e meno oneri burocratici». Poi, a margine del convegno, il presidente di Confagricoltura è stato anche più esplicito: attende una prima dichiarazione del Governo che chieda a Bruxelles la proroga dal 2015 al 2018 del processo di liberalizzazione dei diritti d'impianto. «Abbiamo chiesto al ministro Romano – aggiunge Guidi – di riceverci nelle prossime settimane. Anche per capire se le buone intenzioni si tradurranno in atti concreti».

Al convegno è stato poi presentato un rapporto di Rabobank, dal quale è emerso che i produttori emergenti – australiani, cileni e americani - hanno puntato sull'export di vino sfuso o low cost a difesa dei volumi. Secondo Rabobank, i mercati con più appeal rimangono Regno Unito, Usa e Cina, ma con dei distinguo: il Regno Unito pur rimanendo il maggior importatore di vino nel mondo sarà sempre più legato ai vini low cost e con una accentuata tendenza ad un livellamento della domanda verso il basso. Il vino italiano dovrebbe mantenere la leadership negli Stati Uniti, come nel 2010 quando sono stati importati 221,6 milioni di litri, più del triplo della Francia. La Cina è un mercato emergente interessante ma gli italiani coprono appena il 7% dell'import contro circa il 50% della Francia.

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