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Questo articolo è stato pubblicato il 14 maggio 2011 alle ore 10:04.

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Paolo De Castro, Presidente commissione Agricoltura dell'EuroparlamentoPaolo De Castro, Presidente commissione Agricoltura dell'Europarlamento

«La liberalizzazione del mercato europeo del latte a partire dal 2015 non può essere rimessa in discussione, ma è chiaro che dovremo trovare un equilibrio tra un sistema di protezione totale e la completa assenza di regole. Non possiamo lasciare che il mercato si regoli completamente da solo, perché altrimenti questo avviene ma al prezzo della chiusura di molte aziende».

Così il presidente della commissione Agricoltura dell'Europarlamento (ed ex ministro delle Politiche agricole in Italia), Paolo De Castro, sul difficile momento di transizione di un settore che negli ultimi due anni è stato più degli altri esposto alla volatilità dei prezzi, che in Italia ha già dimezzato il numero degli allevamenti passati, dal 2000 a oggi, da 75mila a 40mila, di cui solo 15mila possono considerarsi aziende professionali.

Alcuni paesi in Europa contestano la svolta liberista in tema di politica agricola, anche se in Italia il regime delle quote ha forse portato più danni che benefici. La scelta di abolire i tetti produttivi potrebbe essere rivista?
Il sistema delle quote, pur tra mille difficoltà, ha protetto i mercati e tutelato i redditi dei produttori, ma non intendiamo rivedere la decisione di abolirle definitivamente a partire dalla primavera 2015.

Negli Stati Uniti, la patria del liberismo, il Congresso ha presentato una proposta per introdurre le quote latte. L'Europa va nella direzione opposta, non è un paradosso?
È vero che gli Usa stanno pensando a un sistema simile a quello delle quote per proteggere i produttori dalla volatilità dei mercati. Ma il contesto nel quale ci muoviamo è quello di una crescente scarsità di prodotti agricoli e alimentari. Anche se la volatilità va gestita e l'Europa e gli Stati Uniti devono cercare di coordinare, per quanto possibile, le proprie strategie di politica agricola.

Ma ogni misura di regolazione dei mercati a Bruxelles deve fare i conti con il fronte dei paesi nordeuropei contrari non solo ai sussidi ma anche a una normativa considerata troppo invadente.
Su questo le sensibilità, che sono molto diverse, stanno cambiando. Anche i paesi più liberisti devono capire che il mercato da solo non può farcela. O meglio, può autoregolamentarsi ma a un prezzo troppo elevato, perché lo fa, come dimostra da ultimo il caso dello zucchero, solo dopo la chiusura di molte aziende. E in agricoltura questo vuol dire spopolamento e abbandono delle aree più marginali e più povere con danni, oltre che economici, al paesaggio e all'ambiente.

Ma le aziende più piccole non sono attrezzate per competere nella nuova dimensione dei mercati, dove dominano volatilità e incertezza.
Gli agricoltori vanno coinvolti, attraverso le organizzazioni dei produttori, nella stabilizzazione dei prezzi. I paesi del Nord Europa sono meno propensi ad accettare la contrattualizzazione obbligatoria, ma sono fiducioso che in Parlamento riusciremo a trovare un compromesso. D'altra parte tutta l'Europa guarda al modello delle organizzazioni di produttori, che in Italia è particolarmente sviluppato, come strada per rafforzare l'interprofessione.

Sulla tutela dei marchi Dop però, attraverso la possibilità per i consorzi di programmare la produzione, l'Italia sembra ancora più isolata.
Le resistenze maggiori su questo punto si concentrano sul tavolo del Consiglio dei ministri Ue. Dove però l'Italia può contare sull'appoggio incondizionato della Francia e della Spagna, quindi di paesi pesanti. Ma l'aiuto più importante può arrivare proprio dal Parlamento europeo: l'obiettivo è arrivare il 24 maggio, giorno in cui voteremo la nostra proposta, con una maggioranza favorevole alla programmazione produttiva dei formaggi Dop.

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