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Questo articolo è stato pubblicato il 30 aprile 2011 alle ore 10:42.

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ll commissario all'Agricoltura Dacian Ciolos (Bloomberg)ll commissario all'Agricoltura Dacian Ciolos (Bloomberg)

La Commissione europea è determinata a introdurre, con la prossima riforma della Politica agricola comune (Pac), un tetto agli aiuti agricoli destinati alle aziende più grandi.

L'idea, un vecchio pallino in realtà per l'esecutivo comunitario che puntualmente prova a introdurre un limite ai pagamenti in occasione delle periodiche revisioni della Pac, è stata rilanciata con forza nei giorni scorsi dal commissario all'Agricoltura, Dacian Ciolos, durante una visita in Slovacchia.

Ciolos è andato oltre le indicazioni dell'unico documento ufficiale sulla riforma che dovrà riscrivere i parametri degli aiuti agricoli Ue dopo il 2013, che si limita a ipotizzare soltanto la «possibilità di introdurre un massimale per i pagamenti diretti erogati a singole grandi aziende». Il commissario ha prima confermato «l'intenzione della Commissione di proporre il plafonamento per i pagamenti diretti alle grandi aziende», aggiungendo poi alcuni dettagli che potrebbero trovare spazio nelle proposte di regolamento già allo studio di Bruxelles.

Il primo riguarda la necessità di tutelare l'occupazione, parametrando il tetto agli aiuti sulla base degli addetti nelle grandi aziende: «Terremo conto dei posti di lavoro creati dalle grandi aziende – ha confermato Ciolos –, e anche degli sforzi ambientali per produrre in modo sostenibile». L'altra novità anticipata dal commissario, che non ha comunque quantificato l'eventuale tetto, è la possibilità di mantenere all'interno dello Stato membro i fondi «tagliati» alle grandi aziende: «Un'opzione sarà quella di mantenere i fondi generati dal plafonamento all'interno dello Stato membro di provenienza, per utilizzarli in investimenti per la modernizzazione e l'innovazione a beneficio di tutte le aziende, incluse quelle più grandi».

Un'ipotesi non lontanissima dal sistema attuale, che però prevede solamente, per chi riceve contributi superiori a 300mila euro l'anno, un prelievo supplementare del 4% (oltre al 10% obbligatorio dal 2012 per tutte le aziende con oltre 5mila euro di aiuti) da versare poi alla politica di sviluppo rurale, che promuove gli investimenti e la diversificazione dell'attività agricola.

Questa volta però la Commissione è convinta di riuscire a riequilibrare in modo sostanziale la spesa Pac, che attualmente è in larga parte appannaggio di poche aziende. Secondo gli ultimi dati disponibili infatti l'1,6% delle aziende agricole europee beneficia del 32% degli aiuti diretti totali (poco meno di 40 miliardi), mentre dall'altra parte una stragrande maggioranza di imprese (il 43,6% del totale) raccoglie premi inferiori a 500 euro annui, che sommati non arrivano al 2% del budget complessivo.
In Italia ci sono 210 beneficiari che nel 2009 hanno incassato some comprese tra 200 e 500mila euro, e 150 aziende che hanno ricevuto aiuti diretti per oltre 500mila euro, mentre il 42,4% degli agricoltori ha incassato appena il 3,3% dei fondi.

Ma per il presidente di Confagricoltura (l'associazione che storicamente rappresenta le aziende agricole più grandi del paese), Mario Guidi, l'idea di un tetto agli aiuti Pac non solo è sbagliata, ma è anche anacronistica. «Oltre all'oggettiva perdita economica – spiega Guidi –, l'ipotesi del tetto ai premi contrasta con la politica delle aggregazioni che stiamo facendo e di cui c'è bisogno soprattutto in Italia, perché incentiva le divisioni o il mantenimento di piccole dimensioni aziendali per non perdere i contributi». Un po' come successo negli Stati Uniti, dove il plafonamento dei premi è stato aggirato con frazionamenti aziendali.

Ma c'è anche un altro aspetto da considerare, secondo il presidente di Confagricoltura. «Se infatti l'idea di parametrare il tetto agli aiuti con l'intensità del lavoro è sicuramente positiva, bisogna però fare attenzione a non scoraggiare la crescita della competitività di un'azienda che avviene anche attraverso gli investimenti in nuove tecnologie che portano a un labour-saving. Bruxelles non può pensare di investire sulla Politica agricola – aggiunge Guidi – tagliando fondi agli aiuti diretti».

Aiuti diretti che, tetto o no, saranno comunque oggetto di una profonda revisione, mirata a una diversa distribuzione tra vecchi e nuovi Stati membri. Per l'Italia la priorità resta la salvaguardia dell'attuale budget di oltre 4 miliardi annui. Che non sarà facile, nonostante la posizione di contribuente netto al bilancio agricolo europeo, con il 13,5% dei versamenti e un ritorno del 10 per cento. Ma i nuovi partner chiedono una distribuzione più equa degli aiuti. Senza aumenti di budget, difficilmente prevedibili, da qualche parte si dovrà tagliare.

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