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Questo articolo è stato pubblicato il 11 giugno 2011 alle ore 19:39.

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Il pizzaiolo che reinventò la pizzaIl pizzaiolo che reinventò la pizza

Conosco Bruno De Rosa da 30 anni, da quando andavo nella pizzeria tric trac di proprietà dei suoi genitori che avevano lasciato il loro paesino natio di Tramonti, sulla costiera amalfitana, per aprire il loro locale a Legnano in provincia di Milano. Una storia di emigrazione, un destino comune in quelle zone che hanno subìto un forte spopolamento e la separazione delle famiglie.

Successivamente le nostre due strade si sono separate e sono tornato nel suo locale dopo tanti anni quasi per caso, solo qualche giorno fa. Oggi la sua piccola pizzeria, sempre piena e spartana, si è trasferita di quartiere e ha cambiato nome in Montegrigna, ma ciò che rende la storia di Bruno interessante per la nostra inchiesta sul declino economico dell'Italia è che il pizzaiolo che venne tanti anni fa dal sud, nel tempo, ha saputo con passione reinventare il suo prodotto offrendo una lezione di managerialità utile a molti imprenditori. Come? Modificando l'impasto e gli ingredienti. Banale direte voi, ma non proprio e non solo. Non sono un gourmet e lascio ad altri disquisire sulle tecniche culinarie. De gustibus non disputandum est dicevano i padri latini. Ciò che mi interessa è che Bruno ha cambiato le farine tornando alla tradizione del suo paese dove le donne non avevano mai la farina raffinata ma una miscellanea di farro, grano e mais. Ha modificato cioè i componenti di base del prodotto attraverso studio e passione e re-interpretando la tradizione sulla scorta dei suoi ricordi d'infanzia. Ha fatto, in piccolo, ricerca storica.

Poi ha modificato il processo di produzione, direbbero gli economisti aziendali, cioè è intervenuto nella fase più delicata, la lievitazione che è lunga e specifica per le varie farine che utilizza. Ha messo a punto un mini modello produttivo ad hoc. A quel punto ha modificato gli ingredienti usando solo materie prime di alta gamma, cioè ha aumentato il valore aggiunto di un prodotto povero altrimenti facilmente imitabile da egiziani (i nuovi competitors) e cinesi (quelli futuri). Così ha messo nella lista della spesa il fiordilatte intero, le alici cantabriche, i pomodori solo del tipo san Marzano, i peperoncini di qualità Piquillo e così via. Bruno ha lavorato sugli ingredienti di alta fascia, anche internazionali, sulla produzione di prodotto (la lievitazione) fornendo un prodotto che esce dalla qualità standard.

Ha rimescolato le carte e ha fatto, in piccolo, quello che i tedeschi negli ultimi dieci anni hanno fatto, in grande, nella meccanica, nella chimica, nella farmaceutica e che noi dovremmo fare nelle nostre filiere e distretti industriali. Innovare prodotti maturi e procedure di lavorazione facilmente imitabili. Per far questo ha investito e ha innovato in prodotti e lavorazioni. Non ha dato niente per scontato, ma al contrario ha fatto ricerca, ha provato strade nuove. Certo Bruno è solo un pizzaiolo, un artigiano che fa tutto da solo, che controlla il processo produttivo a vista, dal bancone al forno rigorosamente a legna. Ma come avrebbe detto il maggior studioso di marketing del mondo, Philip Kotler, classe 1931, l'economista sul cui testo Marketing Management tutti noi abbiamo studiato, Bruno ha saputo applicare intuitivamente il marketing oriented, cioè ha compreso il mercato, ha individuato bisogni ancora insoddisfatti e ha proposto un'offerta di valore adeguata e competitiva. Non la solita pizza!!

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