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Questo articolo è stato pubblicato il 17 giugno 2011 alle ore 07:56.

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Indicatori reali
Dove va la ripresa? In altri tempi e in altri frangenti, nessuno si sarebbe sognato di porre la domanda. Con una fase espansiva nel fiore dei trimestri, tassi così bassi e deficit pubblici in calo ma altissimi. O forse sì? L'invenzione dell'uso delle lettere dell'alfabeto (W, U, Là) per descrivere le ricadute della congiuntura in erba non è recente. Così come non nuovi sono i termini jobless recovery e growth recession, cioè una ripresa senza lavoro e una «recessione della crescita» (che significa crescita sotto al potenziale).

Gli economisti congiunturalisti vedono spesso il bicchiere mezzo vuoto. Questa volta avrebbero però più frecce al loro arco: livelli di attività che impongono ristrutturazioni, occupazione congelata, crisi dei debiti sovrani, prezzi delle commodity alle stelle che taglieggiano potere d'acquisto delle famiglie e margini delle imprese, credito selettivo, settore immobiliare insabbiato (ma nelle sabbie mobilià), manovre d'austerità nei conti pubblici. Tutto ciò rende più incerto che in analoghe situazioni passate lo scenario macroeconomico.

La crisi ha però mostrato il cambiamento epocale: la crescita mondiale è sostenuta ha una solida colonna portante nello sviluppo dei Paesi emergenti, soprattutto asiatici. La Cina da sola fornisce un terzo della crescita globale, nonostante il rallentamento atteso e desiderato. Non dipendono più nei destini dalla domanda interna delle nazioni ricche, ma sono loro che, con la voglia di arrivare a migliori standard di vita, danno impulso alle produzioni di queste ultime. Tanto basta a impedire nuovi inciampi del ciclo, sempre che la politica non ci metta lo zampino generando nell'Eurozona un nuovo mostro simile al crack Lehman; perfino più mostruoso nelle origini e nelle conseguenze: il crack della Grecia.

Incredule che si arrivi a sfidare così gli dei, le Lancette vaticinano che il rallentamento in corso in ogni angolo della terra e in tutte le componenti della domanda (ma gli indicatori anticipatori sono meno corali) sia transeunte perché normale: la crescita non è mai lineare, ma a scatti seguiti da pause. Tanto più che la locomotiva tedesca è stata tirata a lucido e dotata di turbo e il Giappone rimbalzerà dallo sprofondamento tellurico. L'Italia resta indietro e non piace per nulla doverlo rimarcare.

Inflazione
Il diavolo della minaccia inflazionistica è meno brutto di come lo si dipinge. Con l'alta disoccupazione e gli impianti sottoimpiegati e l'esercito mondiale di forza lavoro che non sta più in riserva ma si butta a caccia di migliori condizioni di vita, viviamo in un'epoca deflazionistica in cui i bruschi rincari delle materie prime (dovuti ai fondamentali della domanda e dell'offerta, con la finanza ad accentuarne la variabilità) non accendono la spirale prezzi-salari. I listini al consumo si sono scaldati anche nella componente core (tolti energia e alimentari), ma presto si raffredderanno.

Tassi di interesse, valute, moneta
Rischiare o non rischiare? Gli indicatori dell'avversione al rischio sbandano come un marinaio ubriaco. Sono risaliti gli spread tra i rendimenti dei titoli sicuri e quelli dei junk bond. Ma continuano le emissioni di questi ultimi e ferve l'attività di fusioni e acquisizioni.
Il mercato finanziario ha due anime in questa fase. Il ribasso sui rendimenti di Bund e T-Bond è dovuto sia a un effetto rifugio per quanti fuggono dalle paure sui debiti sovrani sia a un'aspettativa di tassi-guida bassi per molto tempo ancora, nonostante il rialzo deciso e quelli attesi della Bce. La Fed non si stanca di ripetere che i Fed Funds rimarranno schiacciati. Questa è un'anima.

L'altra non si accontenta di tassi bassi e la sua fame di rendimento sospinge a cercare titoli a rischio, fidando sul fatto che, di riffa o di raffa, il ciclo terrà e la secolare ondata di innovazioni, che non si è spenta, genererà altre occasioni di investimento profittevole. Le due anime coesistono solo nei momenti di incertezza, quando si profila una svolta e non si sa quale direzione imboccherà il grande convoglio dell'economia mondiale. Quando la direzione sarà più chiara, e il giudizio pende verso la continuazione della ripresa, riprenderà il movimento ascendente per i tassi, le Borse e l'economia.

La fine della QE2, la seconda porzione di espansione quantitativa della moneta messa in opera dalla Fed, resta fissata per il 30 giugno. Dopo la Fed si limiterà a reinvestire i rimborsi di titoli in scadenza. Chi afferma che la liquidità creata dalla Fed ha sospinto in giro per il mondo bolle di materie prime e di attività finanziarie dovrebbe essere contento che si chiuda il rubinetto. Ma c'è chi teme che, venendo a mancare il «compratore di ultima istanza» di titoli del Tesoro Usa, questi vivano una crisi, specie se il tormentone congressuale del rinnovo del tetto al debito pubblico non troverà sollecita soluzione. La teoria della wall of money trascura il fatto che le bolle si formano quando c'è amore del rischio: che il danaro costi l'1% o il 5% non fa molta differenza. E sul rinnovo del tetto al debito si troverà una soluzione.

Sul fronte valutario, bello (o brutto) stabile. Non ci sono ragioni di attendersi strappi in un senso o nell'altro. Come succede nelle fasi di incertezza.

fabrizio@bigpond.net.au
l.paolazzi@gmail.com

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