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Questo articolo è stato pubblicato il 28 giugno 2011 alle ore 07:56.

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ROMA. Il 2014 è l'anno in cui, oltre a raggiungere il pareggio di bilancio, dovrebbe intervenire un'altra sostanziale novità per il nostro paese: l'abolizione dell'Irap, imposta introdotta nel 1998 in sostituzione di sette imposte e contributi, e da allora oggetto di critiche e di pronunce della magistratura. Anche la Corte Costituzionale è stata investita della questione che ora, in seguito alla decisione del governo di stabilire una prima deducibilità del 10% del tributo, è di fatto sospesa.

Di abolizione dell'Irap si parla da tempo, è prevista anche dal programma elettorale con cui l'attuale governo ha vinto le elezioni nel 2008, ma finora non se ne è fatto nulla per evidenti motivi di gettito: l'imposta vale ben 33,5 miliardi. Per 23,3 miliardi pesa sui privati, per 10,2 sulle amministrazioni pubbliche. Dunque una sua anche parziale abolizione impone di individuare le misure compensative, considerato che il gettito dell'Irap serve a finanziare la sanità. Ora l'intenzione programmatica di rimettere mano all'Irap torna nella bozza del disegno di legge delega, che sarà all'esame del Consiglio dei ministri di giovedì insieme alla manovra da 45 miliardi.

L'indicazione del 2014 quale data presunta per la soppressione del tributo non è casuale, poiché l'intenzione del governo è di collegare strettamente l'operazione al percorso di attuazione del federalismo fiscale. Dal 2013 cominceranno ad essere contabilizzati i risparmi (tra 4 e 6 miliardi) per effetto dell'applicazione dei costi standard nella sanità e della regola aurea del benchmark tra le Regioni migliori per spesa ed efficienza. A quel punto potrà cominciare a delinearsi il nuovo meccanismo di finanziamento a regime delle regioni. come previsto dal decreto legislativo sul fisco regionale. L'eventuale abolizione dell'Irap - confermano i tecnici dell'Economia - rientra in questo percorso.

Il fisco immaginato nella delega si baserà su cinque tributi (Irpef, Ires, Iva, Imposta sui servizi e l'accisa). Per quel che riguarda l'Irpef si va verso una struttura del prelievo basata su tre aliquote: 20%, 30% e 40%, al posto delle attuali cinque (23% fino a 15mila euro, 27% da 15 a 28mila euro, 38% da 28 a 55mila euro, 41% da 55 a 75mila euro, 43% per i redditi superiori a 75mila euro). Decisiva sarà l'indicazione dei nuovi scaglioni cui applicare le tre aliquote, ma la questione sarà oggetto dei successivi decreti legislativi, attuativi della delega, calibrati in funzione delle risorse effettivamente disponibili.

Nella bozza di ddl, ovviamente suscettibile di ulteriori modifiche e integrazioni, è previsto altresì l'incremento di un punto delle aliquote Iva del 10 e 20%, quale modalità di finanziamento della manovra sull'Irpef da affiancare al gettito atteso dal riordino e accorparmento delle attuali agevolazioni. Non è detto però che alla fine l'intervento sull'Iva verrà direttamente esplicitato nel ddl. Lo scambio Iva-Irpef vale attorno ai 10 miliardi, se ci si limita al taglio di tre punti dell'aliquota Irpef del 23%: intervento che dovrebbe costituire il primo step di una riforma immaginata per "moduli" successivi, sulla falsariga della vecchia delega del 2003. A regime, l'intera riforma dovrebbe comportare una manovra sul fisco attorno a 18-20 miliardi, a invarianza sostanziale di gettito. Secondo la Cgia di Mestre, le tre aliquote Irpef e l'aumento di un punto dell'Iva per le aliquote più alte, comporterebbe risparmi medi di imposta tra i 435 e i 573 euro.

Il carnet del disegno di legge delega prevede – secondo quanto confermano i tecnici dell'Economia – oltre al bonus figli l'istituzione di un'imposta unica sui servizi, che nell'intento del ministro Giulio Tremonti dovrebbe sostituire un nutrito drappello di imposte: dal registro alle ipotecarie e catastali, dall'imposta di bollo alla tassa sulle concessioni governative, per finire con i contratti di borsa e le assicurazioni. L'aliquota unica del 20% sulle rendite finanziarie, con esclusione dei titoli di stato, compare tra le misure allo studio. Potrebbe essere inserita in manovra, oppure confluire nel testo del ddl delega, salvo poi essere anticipata a fine anno così da entrare in vigore a partire dal prossimo anno.

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