Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 17 febbraio 2012 alle ore 07:40.

My24

Una valanga di indizi a carico, ma poche le prove a disposizione per dimostrarlo. La restrizione della concessione di finanziamenti ad aziende e famiglie, il temutissimo «credit crunch», sembra ormai un fenomeno conclamato in Italia. Sarebbe sufficiente leggere le testimonianze allarmate degli imprenditori raccolte in questi giorni da «Il Sole 24 Ore», oppure osservare i costi dei finanziamenti lievitati negli ultimi mesi e le garanzie sempre più stringenti che i clienti si sentono chiedere per ottenere prestiti. O ancora considerare le risposte dei banchieri italiani all'indagine trimestrale condotta dalla Banca d'Italia, che affermano come la domanda della clientela non sia affatto diminuita.

L'evidenza empirica dei dati pubblicati sul bollettino statistico di via Nazionale, che mostrano una chiara frenata dello stock dei prestiti verso le imprese non finanziarie nello scorso dicembre: 894 miliardi di euro dai 915 del mese precedente. Si potrà osservare che quel dato rappresenta comunque una crescita rispetto a fine 2010, ma è innegabile che la dinamica dei prestiti abbia subito un sostanziale rallentamento nel corso degli ultimi mesi dopo aver viaggiato su ritmi di crescita medi dell'8,6% nel quinquennio 2003-2008.

Eppure le banche continuano a difendersi e cercano di minimizzare o giustificare la «stretta»: lo fanno ricordando le condizioni difficili in cui si sono trovate a operare negli ultimi mesi (quelli della crisi del debito sovrano, che si è automaticamente tradotto in un aggravio dei costi di raccolta, e quelli delle stringenti regolamentazioni dettate da Basilea 3 e dall'Eba). E fanno anche notare che il tasso di espansione del credito osservato in Italia nell'ultimo anno sui finanziamenti a imprese e famiglie, anche se in decelerazione, è pur sempre superiore a quanto registrato in media nell'Eurozona; che le sofferenze bancarie in forte crescita (oltre 104 miliardi di euro a fine novembre secondo l'Abi, un dato che probabilmente sarà ritoccato al rialzo nel bollettino mensile che verrà pubblicato oggi) impongono un atteggiamento più prudente.

Le banche, soprattutto, sostengono una tesi diametralmente opposta rispetto a quella dei clienti: non sarebbero gli istituti di credito a limitare i finanziamenti, quanto le aziende in difficoltà per la recessione in corso e spaventate per il futuro incerto a non effettuare nuove richieste. Volendo ricorrere a una metafora a volte forse abusata, ma sicuramente efficace, si potrebbe dire che resta complicato capire se il problema sia l'acqua che sgorga dalla fonte con difficoltà o piuttosto il cavallo che non ha voglia di bere. Prove incontrovertibili non ve ne sono al momento, e probabilmente non se ne troveranno neanche in futuro, quando la fase delicata sarà superata: di fronte ai dati definitivi ciascuna delle parti continuerà a difendere la propria tesi.

Gli indizi, però, paiono talvolta schiaccianti. Uno, in particolare, offre spunti di riflessione interessanti, perché proviene proprio da quel mondo delle banche che prova a negare la stretta in corso. L'indagine che le Banche centrali dell'Eurozona conducono ogni trimestre per conto della Bce presso i responsabili delle politiche di credito dei principali istituti dell'area (oltre 110, 8 dei quali italiani) mostra infatti che il «credit crunch» è tutt'altro che virtuale, in Europa così come nel nostro Paese.
Gli intervistati rilevano infatti che in Italia i criteri applicati per l'approvazione di prestiti e per l'apertura di linee di credito a favore delle imprese sono diventati più restrittivi negli ultimi 3 mesi del 2011, e non di poco. Come si legge nel grafico a fianco, l'indice utilizzato segnala nel complesso un valore pari a 0,5 su una scala che va da «1» (notevole irrigidimento delle condizioni del credito) a «-1» (notevole allentamento). Dal 2003, anno in cui sono iniziate le rilevazioni, una situazione simile si è verificata soltanto nell'ultimo trimestre del 2008, non a caso quello che ha seguito il crack Lehman Brothers.

Non senza sorpresa, secondo i banchieri, le condizioni per le grandi aziende (0,63 l'indice) sono peggiori rispetto a quelle applicate alle medie e piccole imprese (0,38), ma il dato più interessante lo rivela senz'altro la risposta a un altro quesito. Se si escludono i normali effetti stagionali, gli intervistati non hanno infatti ancora rilevato alcuna variazione della domanda di prestiti e linee di credito da parte delle imprese negli ultimi 3 mesi: un'indicazione che farebbe crollare la tesi sostenuta dalle stesse banche. Si potrà forse ribattere che si tratta di un semplice sondaggio, condotto perlopiù su 8 soli gruppi bancari (che peraltro sommano sotto di loro la quasi totalità delle attività in Italia), ma una cosa è certa: nel corso del 2012 le aziende italiane dovranno rinnovare qualcosa come 100-160 miliardi di prestiti in scadenza. Non sarà un'impresa facile.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi