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Questo articolo è stato pubblicato il 11 febbraio 2013 alle ore 14:31.

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Nella foto il maggiordomo del Papa, Paolo Gabriele, con Benedetto XVI (Ansa)Nella foto il maggiordomo del Papa, Paolo Gabriele, con Benedetto XVI (Ansa)

Ior, istituto opere religiose. La banca di città del Vaticano. Uno sportello solo, oltre porta Sant'Anna. E molti, molti dossier alcuni chiusi definitivamente, altri ancora apertissimi, altri addirittura scottanti. Quelli chiusi: il Banco Ambrosiano e l'ingombrante presenza di Monsignor Marcinkus, passato dalle vette del potere a un punitivo crepuscolo da parroco nella natìa Chicago.

Quelli attuali: i sospetti di un coinvolgimento indiretto di conti vaticani nella vicenda del Monte dei Paschi di Siena. Il tutto passando per rilevanti investimenti (250 milioni) nel settore della sanità: quelli messi sul tavolo in cordata con la famiglia Malacalza per l'acquisto del controllo della fondazione Monte Tabor San Raffaele. Cordata poi superata dall'intervento dell'imprenditore Giuseppe Rotelli che ha messo fuori gioco gli aspiranti compratori.

L'alone di mistero che da sempre circonda la banca vaticana va oltre la riservatezza che permea la normalità delle cose bancarie. Le inchieste della magistratura che lambiscono l'Istituto sono tante.

Il giallo dei 23 milioni
C'è la vicenda dei 23 milioni di euro giacenti su un conto dello Ior presso il Credito Artigiano (Credito Valtellinese). Denaro di incerta provenienza sequestrato dalla procura di Roma dopo una segnalazione dello stesso Credito Valtellinese. Non va dimenticato che la segnalazione di operazione sospetta venne dalla banca guidata da Giovanni De Censi: indicato tra i candidati alla guida dello Ior prima che venisse scelto Ettore Gotti Tedeschi. Sulla vicenda sta ancora indagando la magistratura romana con i procuratori Nello Rossi e Stefano Rocco Fava: si era giunti anche a indagare Gotti Tedeschi per violazione della legge antiriciclaggio: la 231 del 2007.

La querelle giuridica
Ma lo Ior è stato di recente anche al centro di una interessante querelle giuridica che molti hanno letto in chiave di una lotta di potere interno alle gerarchie vaticane. E' accaduto dopo che le autorità antiricicaggio internazionali: il Moneyval e il Gafi, avevano fatto pressioni per l'adeguamento della normativa interna antiriciclaggio dello Stato Vaticano.
Il che aveva generato una legge emessa «motu proprio» dal Pontefice. La legge era la 127 del 30 dicembre del 2010. Una legge particolarmente stringente che tuttavia ha provocato una reazione chimica difficilmente interpretabile.

I cambiamenti del Motu proprio
Il 24 aprile scorso la Pontificia commissione per lo Stato della Città del Vaticano approvava la norma di conversione numero 166 del decreto del presidente del governatorato numero 159. Nella legge di conversione si prevedevano modifiche e integrazioni proprio alla legge 127 che riguardavano la prevenzione e l'antiriciclaggio.
Ed è appunto dall'esame dei due testi che erano emerse differenze talmente sostanziali da fare parlare alcuni esegeti di cose vaticane di un vero e proprio annacquamento dei poteri delle autorità antiriciclaggio guidate dal cardinale Attilio Nicora.

Il vecchio e il nuovo testo
Con il nuovo testo l'accesso ai dati si limitava all'analisi delle segnalazioni di transazioni sospette ricevute dall'Autorità di informazione finanziaria (la Uif vaticana). Il risultato? Se le segnalazioni fossero 4 o 5 all'anno è soltanto con riferimento ad esse che potrebbe essere effettuata una qualunque richiesta di approfondimento. L'articolo 2 septies del 159 si riferiva ai poteri ispettivi dell'organo guidato dal Cardinale Nicora. Confrontati con il comma 2 all'articolo 33 che nella vecchia norma li regolava si vedono altre differenze eclatanti.

I poteri ispettivi
Alla lettera b del comma 2 del decreto 159 si dice che l'Aif: «Verifica anche mediante ispezioni, l'adeguatezza e l'efficacia delle politiche, degli assetti organizzativi, delle misure e delle procedure adottate». Molto diversa la formulazione del secondo comma del articolo 33 della legge 127: «L'autorità ha accesso anche direttamente alle informazioni finanziarie amministrative investigative e giudiziarie necessarie per assolvere i propri compiti di contrasto del riciclaggio e del finanziamento al terrorismo. Essa ha il potere di effettuare verifiche (...) e di irrogare ai soggetti responsabili (...) sanzioni amministrative pecuniarie». Dunque non più accesso diretto. Visto che si chiarisce anche che le eventuali ispezioni dovranno essere disciplinate con apposito regolamento (emanato dall'organo legislativo) e debbono limitarsi al controllo delle procedure.

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