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Questo articolo è stato pubblicato il 21 maggio 2013 alle ore 07:21.

A parer di Laura Tardino, strategist di Bnp Paribas investment partners «anche se in Giappone la conferma dell'efficacia delle misure adottate verrà solo nei prossimi mesi ed al momento ci sono stati solo timidi segnali di recupero soprattutto in termini di fiducia, credo che gli esempi di Stati Uniti e di Regno Unito siano la testimonianza che la politica monetaria accomodante serva ad accelerare l'uscita dalla recessione ed abbia perciò una forte valenza anticiclica che in questo momento potrebbe aiutare l'Europa ad uscire dalla recessione. Credo altresì che la politica monetaria da sola non sia sufficiente ma vada accompagnata a riforme strutturali importanti che possano estendere nel tempo i benefici conseguiti con gli allentamenti monetari ed i tagli dei tassi».

I rischi della droga monetaria
«I rischi? A parte i grandi rischi estremi e geopolitici, per i quali non è possibile fare una previsione, il rischio principale deriva forse dagli effetti collaterali delle iniezioni massicce di liquidità - come accadde nel 2010 - con bolle speculative sui prezzi di materie prime che alimentano l'inflazione, soprattutto nel mondo emergente, e obbligano le banche centrali a reagire ritirando liquidità e arrestando la fragile ripresa. Per ora il rischio maggiore per noi resta ancora la deflazione - spiega Edoardo Chiozzi Millelire, responsabile per l'Italia Convictions am -. Sul lungo termine nessuno sa cosa succederà, siamo in piena "sperimentazione monetaria". Queste politiche sono più efficaci quando gli stati fanno la loro parte: politiche di riduzione dei debiti credibili e riforme strutturali per aumentare il potenziale di crescita di lungo periodo».

«Con questa decisione, la BoJ ha finalmente compreso qual è esattamente il punto di forza di una banca centrale: la credibilità. Per rilanciare la crescita infatti si può puntare su un aumento indotto della domanda aggregata o su un alleggerimento quantitativo potente e credibile. In Gran Bretagna e Usa ad esempio ha funzionato benissimo, non tanto nel rimettere in moto la crescita a ritmi veloci, quanto per evitare una recessione che sarebbe stata molto più profonda, recessione che stiamo sperimentando in Europa, con la Bce che ricordiamo è indipendente per statuto», sottolineano gli analisti di Fxcm.

Secondo Maurizio Vitolo, amministratore delegato e responsabile del team di investimenti di Consultinvest Sgr «la sensazione è che se con la debolezza dello yen le imprese non torneranno a fare utili e a distribuirli sotto forma di maggiori salari, l'inflazione comprimerà i redditi reali e il tenore di vita dei giapponesi – spiega , riferendosi alla politica nipponica - la cui età media sta invecchiando molto velocemente - si comprimerà in un circolo vizioso di sempre più ridotti consumi. Le famiglie acquisteranno magari anche meno beni durevoli per compensare il maggior costo del consumo non discrezionale. In sostanza non è detto che l'espansione di bilancio generi più inflazione e più crescita»

«Su come andrà a finire è presto per dirlo, l'esperimento è ormai iniziato, il "capitale politico e sociale" in gioco è enorme, ma non esiste un piano B di controllo o di uscita - continua - . Visto che anche in economia e finanza "nulla si crea e nulla si distrugge" temiamo che a rimetterci saranno le famiglie giapponesi con poco risparmio e ricchezza che risulteranno schiacciate dall'inflazione futura: si pensi allo yen debole a agli impatti sulla bolletta petrolifera di un Giappone costretto ad abbandonare il nucleare e privo di risorse naturali. Per ora, da punto di vista dei mercati, si può solo pensare a cavalcare la bolla finanziaria speculativa che è in divenire sul mercato azionario giapponese e cogliere le opportunità offerte dall'attesa che parte di questa liquidità giapponese potenzialmente finisca per cercare altri assets obbligazionari, meno pericolosi dei bond nipponici e più redditizi».

«Altro aspetto problematico rimane quello di come riuscire a stabilizzare il debito pubblico - continua Vitolo - e di come evitare che il riemergere dell'inflazione non provochi sconquassi nei portafogli di banche, assicurazioni e fondi pensione (insieme detengono quasi il 70% di tutti i governativi nipponici in circolazione) costringendo la BoJ ad aumentare ulteriormente i suoi acquisti aumentando ancora di più il tasso di monetizzazione del debito e scatenando una corsa inflazionistica poi molto difficile da controllare».

Secondo Hans-Jörg Naumer di Allianz global investors «la politica monetaria portata avanti dalla Banca del Giappone è paragonabile ad uno tsunami: gli effetti delle iniezioni di liquidità si ripercuotono su tutti i mercati secondo il principio dei vasi comunicanti. Lo scopo è chiaro: la reflazione dell'economia giapponese. La "prima ondata" ha fatto salire il Nikkei al livello più alto degli ultimi cinque anni e spinto lo yen ai minimi degli ultimi 4 anni rispetto al Dollaro americano, mentre le "onde minori" hanno raggiunto sia i mercati obbligazionari emergenti, provocando una riduzione dei rendimenti, sia quelli europei e statunitensi».

«Il fatto che i titoli di stato tedeschi a sei mesi di recente emissione presentino rendimenti negativi potrebbe avere a che fare più con la liquidità immessa nel sistema dalla Banca Centrale che con i premi per il rischio, che all'interno dell'area euro si sono ristretti in modo generalizzato. Ricordiamo che attualmente la Fed compra ogni anno obbligazioni governative per un importo corrispondente a circa il 7% del Pil statunitense. Nel caso del Giappone si arriva al 15%. E non dimentichiamo la Bce e la Banca di Inghilterra: entrambe sono state o sono acquirenti di titoli di Stato.

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