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Questo articolo è stato pubblicato il 29 maggio 2013 alle ore 12:34.

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Sta per terminare il mese di maggio che, al contrario di scaramanzie e i detti di Borsa, non è stato un mese di vendite sui mercati finanziari. Anzi, il fiume di liquidità immesso dalla Banca del Giappone e dalla Federal Reserve in particolare si sta riversando negli strumenti ad alto rendimento. Tra questi rientrano anche i bond dei Paesi dell'Eurozona, soprattutto dei Piigs che, per quanto giudicati a rischio dai mercati fino a qualche mese fa, piacciono adesso perché comunque incorporati nel potenziale cappello protettivo dello scudo anti-spread. Ma soprattutto perché, dato che viviamo nell'era del breve periodo dove investitori e banche d'affari puntano ai profitti (e bonus) immediati rinviando al domani le distorsioni finanziarie dell'oggi, piacciono perché offrono rendimenti decisamente più allettanti rispetto a quelli offerti dai titoli di quegli stessi Paesi che stanno pompando liquidità a go-go.

In Giappone e Stati Uniti infatti i tassi sono pressoché azzerati (così come in Germania e Gran Bretagna). Non a caso vi sono questi tra i Paesi più aggressivi in questo momento nell'acquisto di titoli di Stato italiani come dimostra il forte interesse di Stati Uniti e Gran Bretagna nei confronti dell'ultimo BTp a 30 anni che ha ricevuto una domanda record di 13 miliardi di euro.

In questo scenario la Banca centrale europea è ora tra le "banche delle banche" dei Paesi big ad avere i tassi più alti: il tasso di riferimento (quelle che le banche pagano alla Bce per chiedere soldi in prestito è allo 0,5%). Mentre il tasso sui depositi (quello che la Bce paga alle banche quando queste depositano liquidità nel conto della Bce) è azzerato.

Secondo alcuni analisti stanno crescendo le possibilità che giovedì 6 giugno, quando come ogni primo giovedì del mese si riunirà il direttivo della Banca centrale europea, la Bce possa decidere di tagliare ulteriormente i tassi. Molti altri sono invece convinti che il prossimo taglio sarà a luglio. In ogni caso e quand'anche fosse, nasce inevitabilmente un interrogativo correlato: un ulteriore taglio avrebbe impatti sull'economia reale? La domanda si eleva dato che il quadro economico dell'Eurozona resta preoccupante con una disoccupazione media vicina al 12% e punte di disoccupazione giovanile oltre il 40%, con un'economia (se si esclude la Germania che vacilla in stagnazione) in retromarcia da più di un anno. In Italia, dove quest'anno il Pil dovrebbe scendere per il secondo anno consecutivo, da inizio anno il numero di fallimenti delle imprese è aumentato nel 12%. Tutto ciò nonostante la liquidità all'ingrosso, per quanto non costi zero come altrove, sia decisamente economica e comunque ai minimi di tutti i tempi (nei 13 anni dall'introduzione dell'euro la Bce non aveva mai prima d'ora portato i tassi allo 0,5%).

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