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Questo articolo è stato pubblicato il 18 aprile 2011 alle ore 07:51.

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La mappa delle regioni senza strade e retiLa mappa delle regioni senza strade e reti

A Matera neanche a parlarne, perché la ferrovia semplicemente non c'è (unico capoluogo d'Italia in questa condizione). Anche arrivare in treno a Campobasso, però, è un'impresa non semplice, che impone a chi parte da Roma più di tre ore di viaggio su una linea appenninica percorsa da pendolini d'antan (quando va bene) e chiede a chi arriva dall'Adriatico di inerpicarsi su «littorine» a gasolio altrove scomparse da decenni. Cercate una biblioteca in Calabria, o la banda larga nei paesi dell'Umbria, e avrete chiaro il concetto di «gap infrastrutturale».

Proprio questo è l'oggetto del nuovo atto del federalismo fiscale, che va in scena in queste settimane nella Commissione bicamerale per l'attuazione della riforma. Il sesto decreto ad approdare sui tavoli di San Macuto è quello dedicato alle «risorse aggiuntive» e agli «interventi speciali» chiamati a rimuovere gli «squilibri economici e sociali».

A chiedere questi interventi è la stessa Costituzione, che all'articolo 119 prevede che lo Stato faccia uno sforzo aggiuntivo per promuovere «lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale» in «determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni». La legge delega (la n. 42 del 2009) richiama fedelmente la Carta, ma arricchisce il principio di un nuovo significato: il federalismo fiscale nasce per concedere più autonomia ai territori e per imporre loro standard di spesa omogenei, ma per far atterrare questi concetti sul piano della realtà bisogna dare a tutti condizioni di base più omogenee. Tra gli interventi della complessa architettura federalista, che soprattutto a Sud ha alimentato polemiche sulle distanze fra le varie parti del Paese, questa è la più direttamente votata ad "accorciare l'Italia".

La sfida non è semplice, come mostrano i dati in pagina. Il decreto, approvato in prima lettura dal Consiglio dei ministri del 20 novembre all'interno dell'esame sul Piano nazionale per il Sud, non offre una definizione puntuale delle «infrastrutture» che saranno oggetto di perequazione, perché l'individuazione degli interventi sarà oggetto dei programmi di finanziamento e dei «contratti istituzionali» che li attueranno.

I numeri proposti, basati sulle analisi dell'Istituto Tagliacarne che per il Cnel cura il censimento ufficiale sul tema, esaminano le infrastrutture sia secondo un criterio tradizionale (strade, autostrade, ferrovie, acquedotti), sia secondo uno "allargato" (scuole, teatri, biblioteche, dotazioni telematiche) su due versanti: la «quantità», per esempio i chilometri di strade o il consumo di energia elettrica, e la «qualità», indicata ad esempio dal numero di caselli con Telepass e Viacard o dall'intensità della raccolta differenziata, il tutto pesato in rapporto alla popolazione.

In base a questa radiografia, a nutrire le speranze più vive per una reale efficacia degli «interventi speciali» sono la Basilicata, il Molise e la Calabria, che nell'indice generale raggiungono un punteggio spesso sotto la metà rispetto a Lazio, Lombardia e Liguria. L'analisi regionale, che appare fedele alle condizioni effettive dei territori sottodotati, non deve però ingannare quando si guarda alle realtà più fortunate: il dato del Lazio, per esempio, è influenzato da Roma che – complice anche la scarsa densità abitativa di molte delle zone vicine – riesce da sola ad alzare il dato medio di tutta l'area centrale del Paese, mentre il punteggio ligure è spinto dal carattere strategico del nodo stradale e ferroviario di Genova (i porti sono esclusi dal calcolo).

Tornando al Sud, parecchie difficoltà caratterizzano anche l'Abruzzo, mentre la Campania soffre su energia e ambiente ma si trova in cima alla classifica per dotazione scolastica e reti telematiche (in pratica la banda larga, che nelle aree metropolitane ha esteso molto la propria copertura).

Per ridurre queste distanze il decreto legislativo prima di tutto punta sulle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate, che nel nuovo sistema diventa il Fondo per lo sviluppo e la coesione, indirizzato per l'85% al Sud e per il resto al Centro-Nord. Al fondo, oggetto di una programmazione pluriennale a carattere nazionale, avranno accesso i progetti strategici valutati in base agli obiettivi, alle metodologie di analisi degli impatti, alla sostenibilità dei piani di gestione. Le iniziative saranno oggetto di «contratti istituzionali» chiamati a responsabilizzare i vari livelli di governo coinvolti, sostituiti dal Governo tramite commissari in caso d'inerzia. Dalla dotazione reale di risorse, e dal funzionamento effettivo di questi meccanismi, dipenderà l'efficacia reale dei programmi che saranno attivati in base al nuovo provvedimento federalista.

gianni.trovati@ilsole24ore.com

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