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Questo articolo è stato pubblicato il 29 novembre 2010 alle ore 06:36.
O la va o la spacca. Le sorti effettive del federalismo municipale e della cedolare secca sugli affitti si conosceranno per forza in questi giorni, perché per partire davvero nel 2011 la "tassa piatta" non può più attardarsi ai box. Il calendario approvato il 4 agosto scorso dal governo parla chiaro: entro domani dovrebbero emergere le fantomatiche «aliquote di riequilibrio», cioè le richieste che la futura imposta municipale propria sul possesso degli immobili dovrà avanzare ai contribuenti per pareggiare il gettito dei tributi destinati alla soppressione. Si tratta dei famosi «numeri» invocati a più riprese dai sindaci, che finora hanno negato il loro parere sul decreto in conferenza unificata proprio perché manca l'aliquota. A questo dato sono legate a doppio filo le chance della cedolare secca: non solo perché Imu e cedolare sono nello stesso decreto, e il tentativo dei finiani di staccare l'Irpef piatta sugli affitti per imbarcarla nella legge di stabilità si è scontrato nel «non possumus» della camera, ma soprattutto perché Imu e cedolare sono le due gambe su cui il federalismo destinato ai comuni. Se manca una delle due, cade tutta l'architettura della riforma.
A spiegare con chiarezza questi destini incrociati sono i numeri, che più delle stesse turbolenze politiche di questa fine d'anno contribuiscono a rendere azzardata la scommessa.
Partiamo dall'aliquota mancante, cioè quella grazie a cui l'Imu dovrebbe pareggiare i conti con i tributi attuali del fisco municipale destinati a cedere il passo alla nuova imposta. Secondo gli ultimi dati elaborati dal dipartimento delle Finanze, sul possesso degli immobili in gioco ci sono 11,57 miliardi di euro, fatti di Ici (9,9 miliardi) e Irpef. Economia e commissione tecnica per l'attuazione del federalismo fiscale (Copaff) hanno messo in fila le basi imponibili di tutti i comuni, e hanno calcolato che gli immobili destinatari dell'aliquota agevolata (pari a metà di quella ordinaria, e riservata al possesso degli edifici dati in affitto) sono poco meno del 40% del totale: su questa base, per pareggiare i conti con Ici e Irpef destinate al tramonto, serve un'aliquota ordinaria del 10 per mille (cioè l'1%).
Qui arriva il primo problema: balza all'occhio che le aliquote così concepite sono più alte di quelle dell'Ici (il tetto dell'ordinaria è al 7 per mille) e, anche se cambia la base imponibile, l'immagine "politica" dell'intera operazione rischia di non essere delle migliori: il federalismo, secondo i suoi fautori più accesi, deve abbassare le tasse, e un'aliquota più alta in questo contesto suona male.