Federalismo fiscale: una riforma destinata a cambiare l'Italia

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Federalismo alla prova finale

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Questo articolo è stato pubblicato il 29 novembre 2010 alle ore 06:44.

Chi paga? Mentre una pioggia di convegni sul federalismo fiscale si esercita sul tema nobile dei costi standard, la politica si scontra con questa domanda più brutale. I costi standard sono chiamati a muovere i primi passi nel 2014 per entrare a regime nel 2019, ma il federalismo delle regioni prevede un antipasto nel 2011 e un debutto ufficiale nel 2012. Per rispettare i tempi, però, c'è da decidere come si scioglie l'intreccio tra federalismo e tagli della manovra, e bisogna farlo in fretta.

All'inizio di ottobre il governo ha accelerato, e ha concentrato in un decreto unico le regole sulle entrate e la disciplina sui costi, ma poi la macchina si è inceppata: regioni ed esecutivo si incontrano, ribadiscono le proprie posizioni, ma non si fa un passo in avanti e il parere obbligatorio dei governatori non arriva. È successo il 18 novembre, si è ripetuto il 24, ma non può continuare all'infinito. Lo scontro è, appunto, sul «chi paga» i tagli della manovra correttiva (4 miliardi nel 2011, 4,5 dal 2012). Secondo la legge approvata a luglio la sforbiciata non incide sui livelli di finanziamento garantiti dalla riforma, che dovranno pareggiare i trasferimenti prima della cura, ma nella relazione tecnica della ragioneria spunta l'ipotesi opposta. Di qui il braccio di ferro fra la conferenza delle regioni e il governo.

Un altro interrogativo interessa da vicino i contribuenti: la bozza di decreto legislativo che ha ottenuto il primo via libera del governo a inizio ottobre dà alle regioni la possibilità di aumentare progressivamente, fino a portarla al 3% (oggi il tetto massimo è l'1,4%), l'addizionale all'Irpef, ma con una clausola aggiunta in extremis si affretta a precisare che «il prelievo fiscale complessivo» non deve aumentare. Siccome è difficile pensare che sia lo stato a pagare - riducendo l'Irpef nazionale - le scelte dei governatori di aumentare l'aliquota sul territorio, la petizione sull'invarianza di pressione fiscale resta un principio in attesa di una definizione concreta.

La partita è cruciale, perché si tratta di decidere come si garantisce dal 2012 il finanziamento di una torta da 100 miliardi, cioè le funzioni fondamentali delle regioni a statuto ordinario secondo il loro costo attuale. I dati, elaborati da Unioncamere del Veneto e centro studi Sintesi per il Sole 24 Ore, mostrano il conto presentato oggi da sanità, assistenza sociale, istruzione e investimenti nel trasporto pubblico locale. Il 31 dicembre 2011, secondo il calendario fissato dal governo, si chiuderanno i rubinetti dei trasferimenti statali (6,4 miliardi) e della compartecipazione alle accise sulla benzina (1,7 miliardi), e dovranno essere sostituiti da una quota dell'Irpef statale. A pareggiare i conti devono poi intervenire una compartecipazione delle regioni all'Iva e la perequazione.

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Le tabelle a fianco mostrano le due ipotesi in campo: nella prima il maxitaglio ai trasferimenti non incide sui livelli del finanziamento, come "garantito" dalla manovra correttiva, nella seconda invece interviene come ventilato dalla relazione tecnica della ragioneria. Le compartecipazioni devono essere fissate al livello che garantisce il finanziamento integrale in una sola regione (in entrambi i casi è la Lombardia), mentre per tutte le altre deve intervenire il fondo perequativo.

Le elaborazioni mostrano due cose. Primo: la polemica rischia di ingigantire il problema del taglio ai trasferimenti, perché in ogni caso dovrà essere lo stato a mettere mano al portafoglio e pareggiare i conti. Se si tiene conto dei tagli ai trasferimenti, si abbassa la quota di Irpef necessaria a compensare l'addio all'assegno statale, e di conseguenza si alza (dal 21,1% al 25%) la fetta di Iva che deve entrare in gioco a garantire il finanziamento integrale delle funzioni fondamentali nella regione-benchmark. In entrambi i casi non cambiano le dimensioni del problema reale, cioè quello delle distanze fra le regioni. La perequazione per assicurare il finanziamento delle attività al costo attuale vale tra i 38 e i 40 milioni di euro, e nelle regioni meridionali deve arrivare a coprire più di 19 miliardi su 27 di spesa complessiva, cioè il 70% del totale, mentre in quelle del Nord, dove Irap, Irpef e Iva sono più ricche, si ferma intorno al 25%. Più cresce la quota di spese garantite al debutto dalla perequazione, più aumentano i risparmi potenziali con l'introduzione dei costi standard, che rappresentano il vero cuore della sfida federalista. Restano tutte da costruire le modalità con cui si arriva alla fissazione dei prezzi giusti per ogni servizio, ma questa è un'altra partita.

gianni.trovati@ilsole24ore.com
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