Federalismo fiscale: una riforma destinata a cambiare l'Italia

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Federalismo ma senza rattoppi

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Questo articolo è stato pubblicato il 12 gennaio 2011 alle ore 10:00.
L'ultima modifica è del 12 gennaio 2011 alle ore 06:43.

In Italia non facciamo mai nulla di serio perché non vogliamo scontentare nessuno. Ogni buon progetto diventa oggetto di confronto: lo limiamo, lo ritocchiamo, lo modifichiamo, così ciascuno, alla fine, vi ritrova un po' del suo; e poco male se poi il progetto non sta più in piedi.
Succede così in Italia. E succede ancora di più se sei un governo con una maggioranza risicata in parlamento e il tuo progetto è un riassetto del sistema tributario italiano così ambizioso da far tremare polsi e non solo.

È una buona idea il federalismo fiscale. Avvicina i tributi alla gente e responsabilizza chi la gente l'amministra. È un buon progetto ed è anche giusto, nel portarlo avanti, confrontarsi con tutti i soggetti coinvolti (regioni, province, comuni, parti sociali), non senza dialogare con l'opposizione parlamentare.
Nella ricerca di un'intesa, però, c'è un minimo comun denominatore al di sotto del quale non si può scendere. Altrimenti il federalismo rischia di diventare solo una bandiera, buona magari per sventolare sul pennone del proprio elettorato ma inutile per il paese.
La prima bozza della legge delega sul federalismo fiscale risale a due anni fa. Poi è stata la volta dei decreti attuativi – otto – in gran parte ancora in attesa del via libera definitivo (ne presentiamo un riepilogo nel tabellone a pagina 2). Intanto, secondo una rapida verifica nella banca dati del Sole 24 Ore, si sono succedute almeno 50 bozze diverse dei vari provvedimenti. Una produzione legislativa da oscar, che ha montato e smontato il puzzle più volte, rendendo sempre più difficile la comprensione dell'immagine finale.
Nei servizi tra le pagine 2 e 3 diamo conto delle ultime modifiche annunciate ieri dal ministro Roberto Calderoli.
Continua u pagina 9
Per i Comuni rispunta una compartecipazione Irpef di 4 miliardi, in sostituzione di una fetta importante della tanto celebrata Imu, l'imposta locale sugli immobili. Cosicché dopo mesi di lavoro sul decreto per il fisco municipale si torna, in seguito alle pressioni dei sindaci, a un modello non tanto lontano da quello attuale, Irpef più Ici. L'obiettivo è anche nobile, una maggiore perequazione, ma per non svantaggiare nessuno si rinuncia al principio stesso del decentramento tributario e della semplificazione.
Lo stesso vale per le regioni, che sono state accontentate riconoscendo loro un mix di compartecipazioni Iva e Irpef. Ed evidentemente anche le province non potevano essere da meno: per loro già si annuncia l'archiviazione dell'addizionale locale sulla benzina che sarà sostituita ancora una volta da un ritorno all'Irpef.

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Tags Correlati: Federalismo | Italia | Pd | Roberto Calderoli

 

Così il puzzle dei tributi si compone, scompone e ricompone, inseguendo il consenso necessario. I decreti devono andare avanti. Purchessia. E siccome non basta il disco verde delle autonomie locali, vanno accontentati anche i partiti di opposizione.
Ecco allora pronto per i finiani lo sdoppiamento della cedolare secca in due aliquote; a Casini si assicurano le detrazioni per gli inquilini con figli a carico, palliativo di un quoziente familiare che non si ha la forza di approvare; al Pd si promette - che Bersani si accontenti! - di intervenire successivamente sulla tariffa sui rifiuti.
Ce n'è per tutti. Per approssimazioni successive bisogna arrivare all'approvazione finale. Poco importa se alla fine la montagna rischia di partorire il topolino: se la semplificazione e l'autonomia fiscale restano in gran parte sulla carta; se il buon federalismo annunciato, per diventare realtà, rinuncia di fatto a se stesso. In fondo, si sa, non vogliamo scontentare nessuno. E la politica ha le sue logiche. Ma vale davvero la pena fare questo gran baccano per piantare solo una bandiera?
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