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Questo articolo è stato pubblicato il 04 aprile 2011 alle ore 08:12.
L'ultima modifica è del 04 aprile 2011 alle ore 07:49.

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di Chiara Bussi e Rosalba Reggio
Cambio di passo. Dopo quasi due anni a tassi di interesse ai minimi storici nella riunione di giovedì 7 aprile la Bce si appresta, salvo colpi di scena dell'ultim'ora, ad alzare nuovamente il costo del denaro. Le aspettative del mercato vanno tutte in questa direzione, rafforzate dalla stima flash di Eurostat sull'inflazione che a marzo si è portata al 2,6% rispetto al 2,4% di febbraio. L'ipotesi più probabile è una stretta di un quarto di punto, per portare il tasso di riferimento all'1,25%, ma secondo gli analisti l'Istituto di Francoforte potrebbe poi lasciare la porta aperta a nuovi ritocchi da qui alla fine del prossimo anno.

Quale sarà l'impatto per le piccole e medie imprese, già alle prese con il grattacapo dei prezzi delle materie prime alle stelle? Secondo il Centro Studi di Confindustria a fine 2012 le Pmi potrebbero fare i conti con un rincaro dell'1% dei finanziamenti sotto un milione di euro. Per le piccole con meno di 20 dipendenti significa 3,2 miliardi in più di interessi passivi da pagare nel medio termine. Il primo assaggio dei rincari scatterà già il prossimo gennaio con 600 milioni di euro di interessi passivi in più da sborsare.

Uno scenario basato su tre ipotesi. La prima riguarda la possibilità che i banchieri dell'Eurotower decidano di sparare quattro "munizioni" da un quarto di punto ciascuna entro la fine del 2012. Due quest'anno e altrettanti il prossimo. Sullo sfondo un'ipotesi "conservativa" di uno spread costante al 2,2% e un Euribor che nel dicembre 2012 arriverà al 2,1% rispetto all'1,1% dell'inizio del 2011.

Il prossimo aumento dei tassi riaprirà dunque il tema caldo dei finanziamenti. Sul rischio di credit crunch per le imprese non nasconde la sua preoccupazione Bruno Di Stasio, amministratore delegato di Seven e presidente della Piccola Industria di Torino. «Durante la crisi – spiega – le aziende hanno beneficiato di tassi bassi che hanno bilanciato l'aumento degli spread e i ritardi dei pagamenti. Nell'ultimo biennio, infatti, si è passati dallo 0,50/1% all'1,5/2. Oggi si delinea un doppio rischio. Quello dell'aumento dell'Euribor, che dovrebbe portarsi in un anno al 2%, e quello più pesante degli spread. Se prendiamo, per esempio, i tassi sulle linee di cassa, ci accorgiamo che alcuni istituti - spesso i più grandi - hanno applicato spred superiori al mercato: invece del 2,5/3 della media, hanno fatto il 4,5%». Di Stasio denuncia poi il cambiamento nel peso delle componenti dei finanziamenti. Se nel 2008 gli spread rappresentavano il 20% del costo (l'80 era dato dell'euribor), oggi pesano per il 40% e si rischia di arrivare al 50.

Ma il biennio appena concluso ha insegnato qualcosa. «La crisi economica e il problema dell'accesso al credito iniziato nel 2008 hanno avuto anche risvolti positivi – spiega Ambra Redaelli, vice presidente Confindustria Lombardia con delega per il credito e presidente del Comitato Piccola. Dalla primavera del 2009, infatti, banche e imprese si sono messe al tavolo per trovare una soluzione comune dei problemi».

Certo, i segnali che arrivano non sono positivi. «Un costo aggiuntivo dell'1% sui finanziamenti – aggiunge Redaelli – sarebbe un problema per le imprese già indebitate per investimenti e ritardati pagamenti. In più si aggiungerebbe ai rincari delle materie prime. Tutti elementi che andrebbero a detrimento di margini e competitività. Ma oggi abbiamo degli strumenti per affrontare le difficoltà: il fondo di garanzia, la disponibilità della cassa depositi e prestiti a finanziare le banche nel sostegno alle imprese e, non ultimo, l'avviso comune ormai alla seconda proroga». Insomma il concetto base è non alimentare le contrapposizioni ma proseguire nella ricerca comune di soluzioni. Un esempio? «Oggi le imprese con un merito di credito basso - prosegue la Redaelli - se chiedono un finanziamento, rischiano di vederlo respinto perché adeguando lo spread al rischio si ottiene un costo del prestito che arriva al livello del tasso d'usura. Sembra quasi un paradosso che le imprese chiedano un aumento della soglia d'usura, ma l'esempio rende l'idea della complessità dei problemi che banche e imprese affrontano quotidianamente e che solo in un lavoro di cooperazione possono essere risolti».

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