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Questo articolo è stato pubblicato il 07 maggio 2012 alle ore 18:11.
La Lega incassa una serie di sconfitte in Lombardia e si tira su il morale con la vittoria a Verona. Vittoria annunciata, ma che nel partito apre già una domanda: ha vinto il Carroccio o ha vinto Tosi? Nessuno lo dice esplicitamente, ma c'è già chi sospetta che il gradimento nella città veneta sia più dovuta ad un sindaco amato, capace di far dimenticare gli scandali delle recenti inchieste giudiziarie, che al movimento politico nel suo insieme. È stato lo stesso Tosi a sentirsi in dovere di precisare che lui «è e rimane un uomo del Carroccio», e che dunque non è vero che è stato lui a «battere la Lega», come invece già si dice a Verona.
Il voto, dicono i leghisti nella sede storica milanese di Via Bellerio, ha risentito del peso delle recenti inchieste per frode e riciclaggio ai danni di vari esponenti di partito. I vari dossier giudiziari delle procure di Milano, Napoli e Reggio Calabria hanno portato ad una serie di reazioni a catena nel partito: dall'espulsione dell'ex tesoriere Belsito a quella del vicepresidente del Senato Rosi Mauro, dalle dimissioni di Renzo Bossi da consigliere lombardo fino all'abbandono della segreteria federale da parte del leader storico Umberto Bossi. Per non parlare degli acquisti di diamanti con i soldi dei rimborsi elettorali, le ville al mare e le finte lauree.
Difficile che questa tempesta non si riflettesse sul voto delle amministrative. E infatti è stato così. La Lega è stata colpita in Lombardia proprio nei suoi luoghi simbolo.
A Cassano Magnago, paese natale di Umberto Bossi, la Lega, con la sua candidata Stefania Federici, è fuori dal ballottaggio. La competizione finale qui sarebbe tra il candidato del centrosinistra (39%) e quello del centrodestra (33%).
A Mozzo, borgo natio di Roberto Calderoli, dove il partito governava da 10 anni, il candidato leghista Alessandro Chiodelli si è fermato al 29%, lasciando il posto ad un neo sindaco democratico.
Forte la delusione anche a Monza. Qui il sindaco uscente Marco Mariani, della Lega, non solo non è stato riconfermato, ma non è riuscito nemmeno ad entrare nel turno del ballottaggio. E proprio a Monza, roccaforte verde, l'affluenza alle urne è calata del 14% rispetto al 2007.
Inoltre, secondo i dati in mano al Carroccio, nemmeno a Como il candidato del movimento si è affermato al secondo turno. Ci si consola solo a Cantù, in provincia di Como, con Nicola Molteni, proiettato verso il secondo turno, così come i candidati di Meda (Monza e Brianza), Senago (Milano), Palazzolo (Bergamo), e Tradate (Varese). E anche nei centri del Piemonte, come Cuneo, dove i voti della Lega sembrano tenere.
Certo, a pesare è anche la scelta radicale della Lega di presentarsi da sola, un modo per fare un test sul proprio peso.
Ma le sconfitte lombarde hanno comunque ferito l'orgoglio del "popolo padano". Anche perché i risultati di Monza, Como, Cassano Magnago e Mozzo sembrano mettere in discussione un'intera classe dirigente: Bossi e il suo cerchio magico, oggi sotto la lente della magistratura; ma anche Calderoli, che adesso si ritrova nel triumvirato che regge il partito fino al congresso di fine giugno (insieme a Roberto Maroni e Manuela Dal Lago).
I risultati di questa tornata elettorale, almeno fino a questo momento, sembrano riproporre quello che si è visto nelle ultime settimane: la rivincita dei maroniani sui bossiani. Il commento se lo fa scappare proprio Tosi, da vincitore: «Queste vicende hanno dimostrato chi ha consenso sul territorio e chi invece vive di rendita alle spalle di Bossi». Segue la dichiarazione più amara del candidato leghista di Genova Edoardo Rixi, che per ora è fermo ad un 5%. «Se non ci fossero stati gli scandali qui la Lega avrebbe preso almeno il doppio».
La tornata elettorale insomma riapre gli scontri interni al partito. Ora i maroniani si aspettano di fare la parte del leone al congresso di fine giugno, e prima ancora nei congressi regionali dei primi di giugno. I nomi e le strategie sono già pronte: Maroni dovrebbe diventare il prossimo segretario federale, e per lui una possibile exit strategy, nel caso l'obiettivo della leadership fallisse, è il governo della Regione Lombardia, una volta "scaricata" la giunta regionale entro la primavera 2013.
In alternativa, per il Pirellone, c'è Attilio Fontana, altro maroniano in ascesa, capace di essere ruspante come sindaco di Varese, roccaforte leghista, e al tempo stesso diplomatico come presidente di Anci Lombardia.
Poi ci sono i nomi per la guida dei partiti regionali: l'europarlamentare milanese Matteo Salvini per la Lombardia e lo stesso Tosi per il Veneto.
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