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Questo articolo è stato pubblicato il 08 maggio 2012 alle ore 08:09.

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I dati confermano le peggiori aspettative della vigilia. Questa tornata elettorale è stata una débâcle. Per il Pdl certamente, ma anche per la Lega, nonostante il successo personale di Flavio Tosi a Verona. È la certificazione della fine dell'asse del Nord, dove da oltre un decennio il partito di Silvio Berlusconi e quello che fu di Umberto Bossi guidavano la stragrande maggioranza delle amministrazioni.

«Abbiamo perso perché divisi», sostengono tanto nel Pdl che nel Carroccio. Ma è un'affermazione che non basta a spiegare l'insuccesso dei numeri che arrivano in queste ore dalla Lombardia, dal Veneto, dal Piemonte per non parlare della Liguria: in molti casi, anche sommando i voti, i due partiti non sarebbero comunque riusciti a prevalere.

Una constatazione che fa il paio con il dato sulle astensioni, assai più sensibile al Nord, in Lombardia, in Brianza, picco rivelatore dell'incapacità, di quelli che erano i due maggiori partiti, di rappresentare le istanze di gruppi sociali che un tempo facevano parte del loro zoccolo duro. Il Pdl imputa parte rilevante dell'abbandono dei suoi elettori all'appoggio al governo. La Lega alla campagna mediatica sugli scandali che hanno colpito Bossi e il cerchio magico.

Ma è davvero così? Un anno fa, quando Giuliano Pisapia conquistò Milano, Silvio Berlusconi era ancora a Palazzo Chigi e il signor Francesco Belsito era saldamente alla guida della cassaforte padana. La sconfitta fu imputata all'allora sindaco Letizia Moratti. Oggi è di Monti o della stampa. Ma così facendo si cancella un dato politico fondamentale: il mancato rispetto degli impegni assunti con il proprio corpo elettorale, quelli che nel 2001 furono riassunti nel contratto con gli italiani, riproposto dal Cavaliere nel 2008. E che per Bossi si sintetizzavano in una sola parola: federalismo. Probabilmente è proprio questa la ragione iniziale dello sgretolamento dell'asse del Nord: la mancata risposta alla «questione settentrionale». Alla quale non guasta aggiungere anche l'evidente scollamento tra la classe dirigente amministrativa e i cittadini. In altre parole tra i candidati sindaci e gli elettori.

Tosi a Verona ha vinto non perché leghista e neppure perché maroniano ma perché i veronesi hanno voluto che fosse ancora lui il loro sindaco. Tant'è che la sua lista ha preso il 36% dei consensi mentre il Carroccio si è fermato a circa il 10%. A Monza invece il sindaco uscente, il leghista Marco Mariani, noto anche per aver messo a disposizione Villa Reale per i ministeri di Bossi e Calderoli, non è neppure riuscito ad andare al ballottaggio fermandosi a meno del 12%, quanto il candidato del Movimento 5 stelle, lasciando ad Andrea Mandelli del Pdl l'onere di sfidare il candidato del centrosinistra che al momento è avanti di quasi venti punti percentuali.

Certo gli scandali, le guerre interne ai due partiti e la fine dell'alleanza hanno ulteriormente aggravato la situazione. L'interrogativo a questo punto è se ci siano in prospettiva le possibilità di colmare il divario tra i due partiti e soprattutto tra questi e il loro elettori.
Nella Lega si aspetta il congresso di giugno. Bossi nei giorni scorsi aveva detto, un po' minaccioso, di volersi ricandidare. Ma è un'uscita che sarà costretto a rimangiarsi. Il risultato elettorale lo condanna definitivamente. La Lega è stata travolta persino a Cassano Magnago, il comune che gli diede i natali. E ieri non a caso a parlare a nome del Carroccio è stato Roberto Maroni, che a differenza del Senatur, ha sostenuto e chiuso la campagna elettorale di Tosi a Verona.

Un'alleanza futura tra Maroni e...? Nel Carroccio non c'è una gran voglia di correre a riabbracciare il Cavaliere e il Pdl. L'idea di Bobo e degli altri maroniti è di puntare a riconquistarsi le piazze, segnando quanto più possibile la distanza con chi appoggia il governo, a partire dal Pdl. E non si augura che il Cavaliere e Alfano si decidano per lo «strappo». La Lega grida di voler tornare davanti al popolo sovrano ma in realtà spera che la legislatura e Monti arrivino alla conclusione naturale e le urne si aprano nella primavera del 2013. Andare alle elezioni a ottobre potrebbe essere catastrofico per il Carroccio. E poi chi comanderà nel Pdl o come si chiamerà? Ci sarà un solo partito o invece nel centrodestra prolifereranno altre formazioni politiche? Ma soprattutto, prima di decidere con chi stare, c'è bisogno di capire per fare cosa. Il federalismo è una bandiera strappata, rinnovarla non sarà impresa facile.

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