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Questo articolo è stato pubblicato il 06 novembre 2012 alle ore 07:23.
NEW YORK - È scoccata la mezzanotte e l'America ha già cominciato a votare per eleggere il suo presidente. Come vuole una tradizione che dura da 50 anni, il primo ad aprire le urne è stato un minuscolo paese del New Hampshire, Dixville Notch. Per completare le operazioni di voto e lo spoglio delle schede sono bastati sei minuti e il risultato è già ufficiale: il presidente democratico Barack Obama e lo sfidante repubblicano Mitt Romney si sono suddivisi la posta, cinque elettori ciascuno. È il primo atto, simbolico e folkloristico, di un confronto durissimo e incerto durato mesi. Il pareggio di Dixville Notch riflette l'incertezza sul confronto a livello nazionale con i due candidati sostanzialmente appaiati nei sondaggi di opinione.
Obama ha chiuso la sua campagna elettorale con un comizio di fronte a ventimila persone a Des Moines, in Iowa, nello stesso luogo dove quattro anni fa la sua sorprendente carriera politica era cominciata con la vittoria nelle primarie su Hillary Clinton. Il candidato della speranza e del cambiamento di allora non esiste più, capelli grigi, volto segnato, Obama - vittoria o sconfitta - è all'ultimo comizio: «Io finisco qui - ha detto - adesso le elezioni sono nelle vostre mani». Quello di Des Moines è stato il comizio numero 101 dell'anno, gran finale di una giornata di campagna elettorale al fianco di Bruce Springsteen e Jay-Z. Il presidente passerà la giornata nella sua Chicago e prenderà la parola solo in serata quando il risultato del voto sarà noto.
Romney invece non si ferma e ha programmato altri due comizi a urne aperte a Cleveland, in Ohio e a Pittsburgh, in Pennsylvania, nella speranza di conquistare qualche voto in più.
Se i sondaggi nazionali sono sostanzialmente in equilibrio (nella media delle rilevazioni alla vigilia del voto Obama ha un vantaggio di mezzo punto percentuale) il confronto negli Stati sembra favorire il presidente. È infatti in vantaggio in alcuni degli Stati considerati decisivi per la vittoria finale, in particolare l'Ohio (+2,9% nella media dei sondaggi), il Nevada (+2,8%) e il Wisconsin (+4,2%). I tre Stati valgono 34 voti elettorali che sommati ai 237 degli altri Stati in cui i democratici hanno la (quasi) certezza della maggioranza porterebbero Obama oltre il quorum dei 270 voti elettorali e dunque alla vittoria.
Tra gli Stati "certi" per Obama c'è anche la Pennsylvania, dove Romney ha lanciato una campagna pubblicitaria in extremis e dove oggi terrà il suo secondo comizio in pochi giorni. Nello Stato di Filadelfia gli elettori democratici sono un milione in più di quelli repubblicani e salvo clamorose sorprese Obama dovrebbe essere al sicuro.
Alla luce di queste considerazioni Obama deve essere considerato il favorito. Secondo Nate Silver, l'autore di Fivethirtyeight, il blog di calcolo politico/statistico del New York Times, il presidente avrebbe addirittura il 91,4% di probabilità di essere rieletto per un secondo mandato. Le chance di vittoria di Romney sono invece l'8,6 per cento. Silver - che ha azzeccato 49 risultati su 50 nel 2008 e il 100% dei confronti per il Senato - ha elaborato un complesso modello matematico pesando centinaia di sondaggi nazionali e statali degli ultimi sei mesi.
I repubblicani non ci stanno e da settimane accusano i sondaggisti di favorire i democratici: l'America non è la stessa di quattro anni fa e Obama non è più in grado di trascinare i democratici in massa alle urne.
Una parziale conferma di questo arriva dall'esame del voto anticipato. Circa trentacinque milioni di americani hanno già votato e in alcuni Stati lo hanno fatto in massa. I democratici sono in vantaggio (è una consuetudine) ma i margini non sono paragonabili a quelli della sfida contro John McCain. L'Ohio è un caso esemplare: Obama ha battuto McCain di 262.224 voti quattro anni fa, ma i repubblicani avrebbero già recuperato almeno 200 mila voti di svantaggio. Un segno che il confronto decisivo potrebbe essere deciso al fotofinish.
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