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Questo articolo è stato pubblicato il 01 gennaio 2013 alle ore 17:13.

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L'ingorgo delle frequenze digitali terrestri sarà uno dei problemi aperti nella prossima legislatura. Non sarà, forse, ai primi posti delle agende politiche, ma riguarda mercati decisivi per l'economia e la società civile, quale quello della televisione e quello della banda larga mobile.
L'ingorgo - potrebbe chiamarsi anche Far West digitale - nasce dal modello scelto per la transizione dalla tv analogica a quella digitale. Basato sulla continuità dell'assetto nazionale analogico a scapito di nuovi entranti, piccole tv ed emittenti locali.

Le migliori frequenze, coordinate con i paesi confinanti e non utilizzate da altri soggetti in alcuna regione - scelta necessaria per ottimizzare l'uso dello spettro - sono però tutte andate ad emittenti nazionali consolidate. Con alcune eccezioni: La Rai chiede ottiene di trasmettere il suo multiplex con i canali di servizio pubblico su un canale non protetto dalle interferenze delle tv locali (il canale 24 UHF in Emilia-Romagna e Friuli). Europa 7 deve andare al Tar per vedersi assegnate alcune frequenze incluse nell'accordo siglato con il Ministero dello Sviluppo (guidato da Paolo Romani) ma mai avute in assegnazione.

La vicenda della banda UHF che va dai canali 61 a 69 è emblematica: sono stati assegnati sino al dicembre 2010 quando già si sapeva che sarebbero stati messi in gara, come poi è avvenuto, per la banda larga mobile (anche se le compagnie telefoniche ancora non le hanno ricevute). Lo Stato ha dovuto "far salire" in campo 272 milioni di euro per farsi restituire frequenze dalla tv locali e riassegnarle per liberare i canali 61-69. Nella digitalizzazione delle regioni, poi, per non avere troppi problemi con le tv locali si sono assegnati tutti i canali a disposizione, senza rispettare il Piano di assegnazione approvato dall'Autorità per le comunicazioni. Risultato: milioni di italiani vedono la televisione digitale peggio di quella analogica; alcuni canali non li vedono proprio.

A peggiorare, se possibile, la situazione arrivano altri eventi. Il primo è che dalla fine del 2015 un'altra banda, oggi in uso alle emittenti televisive, potrà essere messe in gara per la banda mobile. Sarebbe necessario riprogettare da subito il Piano delle frequenze, per adeguarlo ai nuovi assetti. Il secondo sarà - quando e se andrà in porto - la gara che ha preso il posto del beauty contest voluto dal governo Berlusconi. Giusto il principio di valorizzare le frequenze, bene pubblico. Il problema è che si vanno ad assegnare a nuovi entranti e piccoli operatori, per venti anni, reti digitali non equivalenti a quelle degli operatori consolidati, con "buchi" vistosi nella copertura e nella ricezione.

Il canale 24 (che compone un multiplex con i canali 23 e 28 UHF), ad esempio, non può essere assegnato nel Nord Est, perchè è già in uso alla Rai. Tanto che ha una copertura, dichiarata da Agcom, del 78%. Chi investirà in reti televisive senza il Nord Est? Di più: se il canale 24 sarà assegnato nelle Marche, interferirà con quello della Rai in Emilia-Romagna. Il rischio che l'asta vada deserta è concreto. A quel punto bisognerà abbassare la base e quindi l'introito per lo Stato, perchè non farla svolgere rischia di non far chiudere la procedura d'infrazione contro l'Italia aperta dalla Ue, che vuole frequenze per i nuovi entranti.

Quanto alle tv locali, il digitale le sta dimezzando, insieme alle scelte dei regolatori. Le graduatorie compilate dal Ministero dello Sviluppo per assegnare le frequenze nelle regioni passate al digitale prima del 2011 premiano anche emittenti inesistenti o quasi: basta che trasmettano sullo stesso canale di un'altra che ha preso i punti utili per stare nei primi posti in graduatoria. Il criterio della copertura, uno dei quattro utilizzati, si basa sull'assegnazione fatta negli anni scorsi, senza tener conto delle interferenze reciproche. I ricorsi al Tar non mancano, in attesa delle udienze in gennaio e sono parte integrante dell'ingorgo.

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