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Questo articolo è stato pubblicato il 01 aprile 2013 alle ore 17:44.

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I padroni del telecomando restano tali. E non si tratta dei telespettatori, che pensano di esserlo ma che spesso non sanno cambiare posizione ai canali e quando lo fanno, spesso si ritrovano automaticamente le posizioni che avevano cambiato. Il nuovo Piano di numerazione approvato dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni porterà all'attribuzione, a ciascun canale telvisivo digitale terrestre, di un numero, assegnato automaticamente dal decoder o dal televisore con decoder integrato. Tale numero colloca il canale all'interno dell'offerta di programmi digitali e sul telecomando dell'utente.

Rafforzare i più deboli. O i più forti?
L'obiettivo doveva essere quello di incrementare, in modo effettivo, la concorrenza e il pluralismo nel sistema televisivo, adottando misure favorevoli ai nuovi entranti e alle tv - penalizzate da una storia di concentrazione e di leggi ad personam - a scapito di chi detiene posizioni dominanti. Come ha scritto Marco Cuniberti nel sito MediaLaws, in fase di presentazione del Piano alla consultazione degli operatori, «si può dire che l'adozione del Piano rappresenta l'ennesima occasione mancata». Giudizio che si rafforza leggendo il Piano approvato post-consultazione.

In sintesi, prima il legislatore e poi l'Agcom hanno ri-costruito (perchè il Consiglio di Stato ha annullato nel 2012 il precedente Piano di numerazione del 2010) , per citare ancora Cuniberti di MediaLaws, «un sistema che si traduce in un evidente ulteriore rafforzamento delle posizioni dominanti già esistenti nel sistema analogico».

Tra 1 e 999 c'è una certa differenza.
Il Piano, innazitutto, prevede una cifra (e un solo tasto del telecomando da premere), o due o tre da assegnare ai canali, a seconda degli archi di numerazione. Non è stata accolta l'ipotesi di adottare una numerazione a tre cifre per tutti i canali, come accade per Sky, in modo da non penalizzare ancor più pesantemente quelli dal 100 al 999, rispetto a quelli dall'1 al 10 in particolare. Altro che le condizioni «eque, trasparenti e non discriminatorie» richieste da leggi e direttive comunitarie.

La legge ha stabilito che uno dei criteri cui si deve uniformare il Piano è quello delle "abitudini di ascolto", quelle dell'era analogica, vanificando l'uso dello strumento a favore di concorrenza e pluralismo. Il mantenimento delle posizioni acquisite prevale sull'esigenza di favorire i nuovi entranti e le tv minori e l'Agcom non ha fatto nulla per cercare di riequilibrare il sistema televisivo.

Italia, quando il digitale è analogico. Il digitale terrestre italiano è stato attuato per mantenere intatto e rafforzare l'assetto analogico, a cominciare dal numero di reti riservato all'emittenza nazionale sino all'assegnazione alle sole tv locali dei canali 61-69 poi assegnati alle compagnie telefoniche con l'asta per la banda larga. Nell'analogico le frequenze non sono mai state assegnate secondo un Piano: questo ha portato alla sentenza della Corte di Giustizia europea sul caso Europa 7, nella quale si definì contrario alle direttive europee un sistema come quello italiano. La stessa Agcom arrivò a certificare l'esistenza di un duopolio congiunto Rai-Mediaset, sia pure solo nell'analogico.

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