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Questo articolo è stato pubblicato il 09 aprile 2013 alle ore 19:30.
L'ultima modifica è del 09 aprile 2013 alle ore 13:45.

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Bersani e il no al governissimo
Alla vigilia del faccia a faccia le posizioni non sembravano divergere molto da quelle che hanno portato all'attuale stallo. Da una parte il leader del Pd ribadisce il suo inamovibile no all'ipotesi di un governissimo con un Popolo della libertà guidato ancora dal Cavaliere. Una posizione che non sembra vacillare neanche dopo le prese di posizioni di Matteo Renzi e Dario Franceschini per un dialogo con l'avversario di sempre: voci che danno l'idea di un partito in subbuglio in cui avanzano i dubbi sulla linea tenuta finora dal leader democratico. In molti avanzano la richiesta di un governo del Presidente che possa sbloccare la situazione. Tuttavia anche l'esortazione del Capo dello Stato Giorgio Napolitano ad avere «coraggio», come quello dimostrato dal Pci di Enrico Berlinguer nel sostenere nel 1976 con la non sfiducia il governo Andreotti, non viene letta dal segretario e dal suo entourage come una spinta nella direzione di larghe intese con il Cavaliere.

Berlusconi e le condizioni sul Colle
Dall'altra parte Berlusconi non abbandona la sua posizione: alla luce del risultato elettorale e visto l'atteggiamento del MoVimento 5 Stelle l'unica strada è la grosse Koalition tra le altre due principali forze politiche. L'alternativa è il voto e nel Pdl c'è già chi ha individuato una data possibile: 7 e 8 luglio. Per la verità un tertium sarebbe possibile: un governo guidato da Bersani con un appoggio esterno (o una non ostilità) del Pdl. Ma la contropartita è chiara: al Quirinale dovrebbe andare una figura espressa dal centrodestra. Tolta la sua candidatura, il Cavaliere continua ad accarezzare il sogno di Gianni Letta che, secondo un sondaggio di Ipr marketing diffuso ieri, raccoglie il consenso del'11% degli italiani, dietro a Emma Bonino, Mario Draghi e Romano Prodi).

Renzi: Bersani non ha vinto le elezioni
Il sindaco di Firenze si fa risentire con parole che sicuramente non faranno piacere al segretario democratico: «Mi hanno dato del qualunquista perché ho detto che si sta perdendo tempo, prometto di non dirlo più ma voi potreste per favore smettere di perdere tempo? Bisogna, elezioni o no, che vi mettiate d'accordo, che si decida». Quindi l'affondo: «Non ho vinto le primarie, ha vinto Bersani. Il problemino è che poi Bersani non ha vinto le elezioni». In mattinata il segretario aveva mandato un messaggio a Renzi: «Le discussioni vanno bene, ma bisogna stare attenti ai toni e avanzare le proprie proposte nei luoghi giusti, cioè nella direzione Pd». Poi una nuova smentita sulle voci di scissione: «Starò sempre dentro la sinistra perché non ne posso più di quelli che si fanno i partiti personali».

I numeri del centrosinistra e un nome condiviso
Il nuovo inquilino del Quirinale è stato l'argomento di discussione tra Bersani e Berlusconi. «Nessun nome ma metodo condiviso» ha riferito Letta. «La responsabilità della prima proposta spetta alla nostra coalizione "Italia bene comune"» ha chiarito ieri il segretario parlando al gruppo del Pd alla Camera per poi chiarire che il partito non accetterà «ricatti o scambi ma non avremo neanche posizioni settarie. Serve una soluzione condivisa». Parole significative considerando che il centrosinistra avrebbe quasi i numeri per eleggere, dopo il terzo scrutinio, un proprio esponente: basterebbe trovare 9 voti da aggiungere ai 495 per raggiungere la maggioranza richiesta di 504. Uno scenario che chiuderebbe però ogni dialogo con il centrodestra e segnerebbe forse la chiusura anticipata della legislatura. «Vogliamo che si parta con l'idea di eleggere un presidente largamente condiviso che interpreti l'unità nazionale e ci sembra che il Pdl voglia muoversi su questa strada», ha spiegato Letta.

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