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Questo articolo è stato pubblicato il 20 maggio 2012 alle ore 16:43.

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Una battaglia a colpi di copyrightUna battaglia a colpi di copyright

Il sette maggio si è concluso il primo round di una partita cruciale per chiunque sviluppi software, quella che vede contrapposti Google e Oracle. L'accusa al gigante di Mountain View è di aver violato il copyright relativo alle Api Java che Google ha riprodotto in Android. La risposta dei giudici dà ragione a Oracle ma solo in parte: Google avrebbe copiato ma non poteva sapere di aver bisogno di una licenza. Si andrà quindi in appello ma i più soddisfatti sono gli avvocati del motore di ricerca perché il danno di questa presunta violazione del copyright si configurerebbe un peccato veniale da un punto di visto economico. Tirano anche un sospiro di sollievo gli sviluppatori perché la decisione dei giudici non dà indicazioni chiare sulla tutela via copyright delle Api di Oracle.

Se fosse passata le tesi di Oracle, hanno lanciato l'allarme in Silicon Valley, migliaia di programmatori che producono software, startup di internet e softweristi open source si sarebbero trovati gambe all'aria. La partita però non è chiusa e il processo del secolo del copyright continuerà a tenere banco. Come anche l'ancor più intricata telenovelas dei brevetti legati agli smartphone. Una pacchia per gli avvocato di Samsung e Apple che sembra non aver fine. L'invito a sedersi a un tavolo e trovare un accordo in via extragiudiziale non sembra aver prodotto risultati rilevanti.

Hanno tempo ancora poco meno di un mese ma le posizioni delle parti sembrano piuttosto distanti. Mentre in Germania, ennesimo fronte di questa pluriennale battaglia legale, i giudici si sono presi una pausa per valutare la validità dei brevetti oggetto del contendere. Intanto altri giudici stanno seguendo Facebook e Yahoo!, con il motore di ricerca che ha pensato bene di giocare la carta delle litigation accusando il social network di aver violato brevetti sulle piattaforme per la gestione degli annunci pubblicitari. Facebook distratta da Wall Street ha tenuto botta, intanto gli avvocati istruiscono cause. Più abili di tutti i legali di Microsoft che hanno comprato patent da America online per 1,1 miliardi di dollari (cash) e una settimana dopo li ha rivenduti a Facebook, parte in proprietà per 550 milioni di dollari e parte in licenza.

Il mercato all'asta dei brevetti è cosa antica, strumento di competizione ma in quest'ultimo anno sembra essere l'unica contromossa per scongiurare la via giudiziaria. Si è capito nove mesi fa quando Apple, Microsoft e altre internet company hanno soffiato a Google e Intel 6mila brevetti di Nortel Networks per la modica cifra di 4,5 miliardi di dollari (cash). E ad agosto dello scorso anno la stessa Google per mettere le mani su 24mila brevetti di Motorola Mobility ha speso tre volte di più (12,5 miliardi di dollari).

A inserirsi nella partita non ci sono solo sani produttori di tecnologia. A tenere in tensione ancor di più il sistema dell'innovazione si sono messi gli orchetti dei brevetti, i patent troll, aziende acchiappa-brevetti che rastrellano gli uffici della proprietà intellettuale per rilevare patent e poi minacciare cause e trarre profitti con accordi di concessione. I grandi possono fronteggiare i troll ma i piccoli? Le startup oggi non hanno i soldi per pagarsi una squadra di avvocati con il coltello nei denti che guardi loro le spalle. Il rischio è rendere l'innovazione un mestiere per pochi. Anzi, c'è chi afferma che l'attuale "aristocrazia" della Silicon Valley non sarebbe mai nata. Google, Facebook, Twitter, Zynga e buona parte dei giganti del 2.0 e di internet avrebbero avuto problemi con l'ufficio legale. Il che potrebbe essere un problema visto che il 40% dell'attuale Pil gli Stati Uniti lo realizzano aziende che non esistevano prima degli anni Ottanta.

Insomma, il sistema è disfunzionale, per usare un sinonimo. A Wall Street sostengono che è tutta colpa del sistema dei brevetti: costano troppo poco e sono troppo generici. La Silicon Valley delle startup accusa invece il sistema di gestione dei brevetti Usa (Pto) di voler aiutare i soliti noti (Microsoft, Google, Intel ecc), i big dell'elettronica che si possono permettere di brevettare in quantità industriale. Rendendo l'innovazione un gioco per pochi. E i numeri confermano questo tragico scenario. Negli anni Ottanta il Wipo, l'organizzazione mondiale della proprietà intellettuale, ha ricevuto 800mila domande di brevetto. Trent'anni dopo sono salite a poco meno di due milioni. E a breve, tra tre anni gli esperti prevedono l'ingresso della Cina che potrebbe sommergere il mercato con milioni di nuovi brevetti. A quel punto chi potrà innovare?

Un'idea l'ha avuta una agenzia di Chicago, l'Ipxi, che ha inventato un mercato del brevetto per favorire le startup. L'idea è quella di offrire un tipo particolare di licenza (Unit License Right) sulla base dell'uso del brevetto. La formula non contempla gli accordi di esclusiva ma rende più semplice per i piccoli fare i soldi grazie alle proprie invenzioni. Sempre per provare a hackerare il sistemi dei brevetti Twitter nelle scorse settimane ha annunciato che avrebbe cambiato il modo in cui avrebbe registrato i suoi brevetti riconoscendo diritto di parola (e di voto) a chi ha creato l'innovazione. L'Inventor's Patent Agreement (Ipa) assegna agli "ingegneri" il diritto di decidere in quali occasioni l'invenzione può essere utilizzata offensivamente. La decisione, secondo Electronic Frontier Foundation, se adottata in massa potrebbe mettere fine alla guerra di brevetti. Ma ad oggi nessuno dei big ha seguito l'esempio di Twitter.

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