Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 02 giugno 2012 alle ore 19:06.

My24

Accentuare la componente creativa dell'ingegneria, ispirandosi alle leggi dell'evoluzione e al darwinismo. È questa la sfida affrontata negli ultimi anni da tale disciplina applicativa, anche grazie all'avvento di uno strumento concettuale molto innovativo: gli algoritmi genetici. E proprio la scorsa settimana Trieste ha ospitato – nel corso dell'edizione 2012 del «modeFrontier users' meeting» organizzato dalla società Esteco – David Goldberg, studioso dell'Università dell'Illinois e uno dei massimi esperti mondiali di questo tema.

Per Goldberg (che è anche consulente del Governo americano per la riforma universitaria) «il ruolo della comunicazione, della filosofia e della creatività è essenziale per la soluzione dei problemi, e in particolare di quelli ingegneristici». Ma innanzitutto, che cos'è un algoritmo genetico? Si tratta di un'euristica, cioè un metodo (in questo caso di tipo computazionale) che può essere utilizzato per simulare al computer progetti di ogni tipo, dalle automobili ai treni, dalle navi agli aerei, dalle scarpe da ginnastica alle lavatrici, dall'ottimizzazione dei consumi energetici alle tecnologie biotech. In particolare, gli algoritmi possono essere impiegati allo scopo di ottimizzare un dato progetto, valutando tutte le alternative e scegliendo la migliore (per esempio, si possono simulare tutti i design possibili di un'ala d'aereo, scegliendo quello migliore in termini di costi e di prestazioni).

Facciamo un passo indietro. Tutto inizia con John Henry Holland, dell'Università del Michigan che, nel 1975, pubblica un saggio fondamentale, «Adaptation in natural and artificial systems». L'idea proposta da Holland e poi sviluppata da Goldberg è quella di una procedura di calcolo (un algoritmo, appunto) per realizzare simulazioni di ogni genere e ispirata all'evoluzionismo darwiniano. Dato un determinato progetto che presenti uno o più nodi problematici, si possono generare migliaia di soluzioni potenziali (sotto forma di un insieme di stringhe in codice binario, ma sono possibili anche altri metodi).

In sostanza è una rappresentazione genetica di tali soluzioni, che le tratta (in senso metaforico) come genomi individuali. Per dirla con Carlo Poloni, presidente Esteco, si tratta di «una metafora di gestione che interpreta in termini di causa-effetto i problemi che possono sorgere in campi diversi». Fatto questo, si sceglie una «funzione di fitness» – un criterio di selezione, stabilito in base alle esigenze progettuali – e la giostra darwiniana può partire. Si sottopone quindi l'insieme delle soluzioni potenziali a tutta la trafila dell'evoluzione biologica: mutazioni casuali, selezione, riproduzione e incrocio degli "individui" (cioè le singole soluzioni) così generati. Tutto questo fino a quando non raggiungiamo una soluzione che ci soddisfi (come un'ala d'aereo che contenga la miglior combinazione di robustezza e basso costo).

Insomma, se l'intervento triestino di Goldberg – un "manifesto" per la riforma dell'insegnamento accademico delle discipline ingegneristiche, che incoraggi la creatività e magari introduca materie "soft", cioè di tipo umanistico, nel loro curriculum di studio – può sembrare scollegato dalle tematiche più squisitamente progettuali, esso in realtà rappresenta proprio lo spirito che anima l'uso degli algoritmi genetici in ambito ingegneristico.

I lavori di Holland prima, e di Goldberg poi, si inseriscono infatti in un ampio settore di ricerca noto come «creatività computazionale»; ossia il tentativo di conferire alle macchine capacità creative analoghe a quelle umane o, al contrario, di renderle in grado di potenziare la creatività umana senza essere esse stesse creative. Per fare un esempio concreto: modeFrontier, il software sviluppato da Poloni, funziona proprio così, cioè, a prescindere dall'ambito in cui stiamo lavorando (aerospaziale, energetico, automobilistico, e così via), esso rappresenta e seleziona tutte le soluzioni possibili fino a raggiungere la cosiddetta «frontiera di Pareto» (dal celebre economista italiano Vilfredo Pareto); ossia la miglior soluzione possibile, che non può subire ulteriori miglioramenti senza che si pregiudichi qualche altro aspetto. Secondo Poloni tale lavoro – eseguito in modo del tutto automatico – toglie «la parte noiosa del lavoro ingegneristico, lasciando spazio all'analisi e alla creatività del progettista».

Vediamo allora qualche applicazione pratica. Basandosi su modeFrontier, Kristian Amadori dell'Università svedese di Linköping ha sviluppato una metodologia per il design automatico e la fabbricazione di Mav (un particolare tipo di droni) che permette di modulare le varie caratteristiche di tali veicoli a seconda del tipo di missione a cui saranno destinati. David Miller dello Us Department of Energy ha invece messo a punto un modello teorico per l'ottimizzazione delle centrali elettriche a carbone che mira a ridurre il più possibile l'emissione di biossido di carbonio, mantenendone nel contempo l'efficienza.

Nell'ambito della sicurezza stradale, Na Li e Jian Xin Liu, della cinese Central South University, hanno sviluppato una simulazione che analizza in modo efficiente i dati medici e biomeccanici relativi ai danni alla testa e al collo in seguito a incidenti automobilistici, utile per finalità preventive. Per quanto riguarda lo sport, Mathew Dickson e Franz Fuss (della Rmit University di Melbourne) hanno analizzato il design di un celebre paio di scarpe da corsa, le Adidas Bounce, per valutare se l'efficienza della scarpa si modifica se il corridore accelera il passo.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi

301 Moved Permanently

Moved Permanently

The document has moved here.