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Questo articolo è stato pubblicato il 08 luglio 2012 alle ore 17:08.

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La piccola barca P-ship naviga lentamente su un tranquillo fiume toscano. Fa tutto da sola. Ogni tanto si ferma e avvia il sistema automatico di campionamento dell'acqua. Da lontano lo scienziato segue, su video, tutto quello che fa, dati di rilevamento in primis. E se alla bocca di uno scarico i valori sono alti ordina alla barca di intensificare le rilevazioni. Lei riprogramma la rotta ed esegue.

P-ship, oggi è il primo frutto di una nuova impresa (P-tom) di ricercatori robotici dell'incubatore di Navacchio (Pisa), è solo un esempio iniziale di quella che si annuncia come la robotica di terza generazione. Macchine autonome e sensibili in grado di assistere gli anziani, sbrigare le faccende di casa e curarli. Oppure robot esploratori, volanti o che si infilano come serpenti nei tubi. E co-lavoratori o esoscheletri capaci di adattarsi al corpo del malato o dello sportivo e di fornire energia di movimento. Fino a nanorobot chirurgici capaci di infilarsi nel corpo umano e ripararlo selettivamente dall'interno. Fantasie? No. «Alcuni prototipi già ci sono. Ma arrivarci, a questi robot compagni dell'uomo, non sarà uno scherzo – spiega Paolo Dario, della Scuola Sant'Anna di Pisa –. La nuova robotica richiederà la confluenza e l'integrazione di nuove conoscenze, dalle neuroscienze alle nanotecnologie, dalla chimica alla meccatronica. Un progetto interdisciplinare. Il nocciolo è capire come funzionano davvero gli esseri viventi, come ottimizzano il consumo di energia e affrontano problemi complessi. Cercheremo di carpire i segreti del mondo della natura. E applicare alle macchine questi principi. Ottenendo un'efficienza intrinseca che non è solo aggiungere nuove batterie più performanti. È andare a impattare anche gli ambiti sociali, psicologici, filosofici. Per capire il rapporto possibile tra la macchina e l'uomo».

Questo è il nocciolo di Robot Companions for Citizens (Rcc), forse la maggiore proposta di ricerca e innovazione lanciata in Italia da molti anni. Un progetto, due anni per definirlo, calibrato su 10 anni e un miliardo di euro di investimenti, che domani verrà ufficialmente presentato alla Commissione europea, in lizza con altri 5 candidati al titolo di Flagship della ricerca europea. Due soli saranno scelti. E si tratta di proposte forti e a lungo termine, appoggiate ciascuna da decine di università e istituti europei. Il portabandiera italiano è la robotica di terza generazione. «Oggi nel continente vi è una comunità di ricerca robotica di circa 2mila persone. E tra Scuola Sant'Anna e Iit noi pesiamo per oltre un terzo – dice Roberto Cingolani, direttore dell'Iit (Istituto italiano di tecnologia) di Genova – ovvio che in questo campo possiamo giocare in serie A».

Un campo non da poco, dove la scienza più avanzata si può sposare all'industria. «La robotica ha vissuto due generazioni – spiega Dario, coordinatore scientifico di Rcc –, la prima, meccanica e informatica, ha generato la meccatronica che conosciamo, e che dà da vivere a tante nostre aziende. La seconda è stato l'ingresso dell'intelligenza artificiale, della sensoristica e della percezione. Ma oggi ci scontriamo con precisi colli di bottiglia. I robot in grado di agire davvero nel mondo reale richiedono, a oggi, ipercomplessità tecnologiche e consumi energetici insostenibili. Il paradigma va completamente cambiato. Invece che dalla tecnologia, ripartiamo dallo studio degli esseri viventi, che già ottimizzano in modo straordinario intelligenza, capacità ed efficienza. I loro principi saranno i nostri passi avanti».

I proponenti di Robocom, al lavoro da circa due anni sulla proposta Flagship, l'hanno sistematizzata in 5 pilastri di ricerca. Sviluppare nuovi materiali e insieme nuove soluzioni energetiche, distribuire il controllo e l'intelligenza su tutto l'organismo robotico, sviluppare un'architettura intellettiva sintetica (come negli animali), integrarla alla sensibilità dell'ambiente. E infine progettare i robot finali su quattro piattaforme: robot per la salute e la cura, esplorativi, per le emergenze, per il co-lavoro. Risorse: circa 800 tra ingegneri robotici, neuroscienziati, chimici, informatici e matematici coinvolti tra Iit e Sant'Anna. E poi i partner esterni: «Abbiamo definito 20 gruppi di lavoro che contribuiscono sui cinque pilastri scientifici – spiega Dario –. Più una dozzina di sottoprogetti già definiti. Questi lavoreranno ai robot dei prossimi vent'anni».

«Poi – continua – abbiamo sviluppato una seconda proposta, per una partnership pubblico-privata per lo sviluppo industriale dei prossimi 10 anni. E abbiamo già la bellezza di 110 lettere di endorsment da tutto il mondo: dalla Cina (con 3 milioni) agli Emirati Arabi Uniti, dalla Regione Toscana all'Olanda e gli Usa. Così contiamo di raggiungere un budget di 100 milioni l'anno con l'Iit capofila che ne investirà 10, 25 forse la Commissione, e il resto i partner interessati a questa frontiera. Su cui, ovviamente, noi giocheremo un ruolo di leadership, europea e anche oltre». Ai campionati europei di Flagship di ricerca e innovazione, Robocop, ovvero la robotica italiana ci va in pole position. Vuole giocare e vincere una delle due posizioni che si apriranno nel 2013. «Un progetto come questo potrebbe generare per l'Europa circa 10 miliardi di produzione e lavoro qualificato nei dieci anni – prevede Dario – su uno spazio di meccanica avanzata che è il nocciolo della nostra competitività». Conclude Cingolani: «Gli effetti diffusivi saranno tangibili dall'auto all'aerospaziale all'elettronica, i nuovi principi robotici saranno la chiave dei prodotti futuri. Per questo facciamo squadra. Perché l'Europa faccia una scelta strategica».

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